Rivelare rilevando


Rivelare rilevando

Premessa
Si è tanto scritto sulle origini di questo paese per cui non voglio scomodare ancora una volta il buon Diomede che , sbarcato in Puglia , venendo dalla Grecia, pare non abbia fatto altro che fondare una città dopo l’altra. Rileggendo le varie cronache, almeno una dozzina tra cui anche San Severo .
Più che inoltrarmi nelle sabbie mobili delle documentazioni storiche, ho preferito la via più semplice di  elencare una serie di argomenti che ho toccato e misurato“con mano” e che ho ritenuto di pubblicare per evitare che cadessero nel dimenticatoio. La mancanza di planimetrie “certe”, riportanti quella che doveva essere la San Severo nell’antichità, lascia ampio spazio alla creatività personale, per cui ognuno può immaginare quello che vuole sempre che l’immaginazione risulti compatibile con i pochi documenti ancora a disposizione di tutti.
 Personalmente mi affascina l’idea di un villaggio sorto alla biforcazione di due tratturi entrambi provenienti dall’Abruzzo. Traffico di pastori e greggi che si svolgeva contemporaneamente ad un flusso di pellegrini verso Montesantangelo. In questo intreccio di uomini e bestie  ebbero origine i luoghi dell’accoglienza, recinti per le greggi *e taverne per alleviare il viaggio ai viandanti oltre a grandi spazi protetti dove esporre e vendere le mercanzie*. Il tutto contornato da un gran numero di chiese e torri e circondato da mura che avevano la precipua funzione di difendere gli abitanti non tanto dagli invasori quanto dalla puzza dei liquami che scaricati a cielo aperto nel fossato lo percorrevano dalla parte più alta in piazza Castello fino a porta Foggia per incanalarsi nella “cupa” e quindi sperdersi nel Venolo. Saggiamente il canalone principale (carbonarium) che portava la maggior parte delle acque luride fu costruito sottovento . Il principio funzionava, tranne che nelle giornate di “favonio” che, spirando da sud , portava la puzza fin dentro la città.

Il rilievo architettonico
 Ho cominciato a lavorare ristrutturando fabbricati antichi  privati e pubblici;  quasi quarant’anni di attività professionale passati tra le vecchie murature mi hanno insegnato  a leggere i segni esteriori, in apparenza secondari o inutili, e decifrare di conseguenza, le vicende storiche ed umane tra loro racchiuse. Ho cercato (senza successo) vecchie planimetrie di San Severo, ho letto e riletto le cronache degli storici locali passati e recenti con le descrizioni dei luoghi come dovevano presentarsi ai loro occhi e cercando di riconoscerli negli edifici storici ancora esistenti.
Talvolta, la curiosità innescata dai nomi di strade nel centro storico e di alcuni luoghi mi ha spinto a sottrarre un po’ di tempo alla mia professione alla ricerca di materiale in grado di soddisfarla. Fortunatamente la pratica professionale, svolta quasi totalmente nella ristrutturazione di vecchi edifici  , mi ha fatto scendere in locali sotto il suolo rinvenendo  cantine, fosse granarie, fornaci, passaggi …- Il rilievo di un edificio , quello che si faceva fino a poco tempo fa con metri pieghevoli, rulline e canne metriche oggi sostituiti dai laser è il primo approccio che generalmente si ha con una fabbrica. Non è un’operazione fastidiosa da far svolgere ad altri per ottenere semplicemente dei dati numerici: rilevare un edificio vecchio o antico vuol dire toccare con mano pietre, intonaci, sentire l’odore della muratura antica, del terreno umido delle cantine; 
Mi è capitato, e ancora mi capita ,di osservare situazioni uniche non riportate da documenti o da antiche descrizioni. Un po’ per collezionismo e un po’ per prassi professionale ho conservato tutti i rilievi dei lavori svolti in edifici storici dagli inizi ad oggi; per gli edifici più importanti al rilievo numerico aggiungevo degli appunti  o degli schizzi in modo da chiarire meglio a me stesso e ad altri la complessità di certi luoghi.
Da studente non amavo molto la storia dell’arte e dell’architettura , almeno quella studiata sulle pagine dei libri. Mi sono appassionato all’argomento per gradi solo dopo aver toccato con mano i vecchi muri, gli intonaci e le pietre antiche. Dopo le lezioni di storia e stili (all’università)  rileggevo il centro storico di San Severo con nuovi occhi. In una lezione si accennava al tessuto medievale urbano dove il campanile rappresentava un punto focale della prospettiva di una strada. Ripercorsi le stradine del centro storico (in cui ero nato) fotografando tutte le strade al centro delle quali era visibile un campanile; ancora oggi quando ci passo e vedo la sagoma del campanile al centro non posso fare a meno di pensare che quella era una strada medievale.
Tornato in San Severo, dopo la laurea , ho riletto con nuovi occhi le antiche murature superstiti, le pietre lavorate, trovandovi ogni volta particolari prima trascurati.  A quel punto si sono rivelate utili le letture dei testi sull’argomento, soprattutto per verificare le ipotesi e per dissipare i dubbi sorti durante le indagini preliminari degli edifici oggetto di interesse professionale.
 I rilievi architettonici raccolti in questo saggio sono stati eseguiti nella maggior parte  per interesse professionale , in minima parte per pura curiosità e per il desiderio di saperne di più. 

Ho sempre lamentato la mancanza di planimetrie in grado di farci capire com’era la San Severo antica, dovevamo accontentarci della prospettiva del Pacichelli, di qualche schizzo del Fraccacreta (pur prezioso anche se di difficile comprensione). Ho voluto ovviare a questa mancanza realizzando delle planimetrie in cui collocare i luoghi riportati nelle descrizioni degli storici integrandole con annotazioni personali .La carta su cui ho disegnato i primi rilievi comincia a scurire per il tempo e questo mi ha fatto riflettere sull’opportunità di operare una raccolta dei grafici e degli schizzi con le annotazioni fatte di volta in volta, prima che il progredire del tempo e l’incuria umana li facciano sparire del tutto.
Il modesto bagaglio grafico raccolto durante gli anni di attività professionale, così organizzato,  forse potrà essere di qualche aiuto agli appassionati di storia locale o semplicemente a qualche curioso,  per cui  è stato suddiviso per tipologie , integrando i grafici con osservazioni utili a una maggiore comprensione dell’argomento. Osservazioni e piccole cronache si  alterneranno tra un rilievo e l’altro, per rendere meno arida la semplice elencazione dei grafici.



Palazzo Iannarelli
In vico Curvo nel novembre del 2010 viene abbattuto il palazzo appartenuto al notaio Iannarelli. Non era nè pericolante nè fatiscente e di questo ne sono certo perché sul finire degli anni 70 il notaio mi interpellò per risolvergli un problema: non voleva bagnarsi, in caso di pioggia, quando attraversava il cortile per salire la scala scoperta  in mattoni e pietra che  portava in casa al primo piano. Con il fabbro realizzammo una tettoia in vetro scorrevole su binari con tanto di motore elettrico e cremagliera . Il telaio con i vetri scorreva sopra un tetto a due falde di cui ripeteva la geometria. Il vantaggio di questa soluzione mobile era quello di lasciare il cortile aperto durante le belle giornate .Dopo la morte del notaio il palazzo fu messo in vendita. Nel 2007 con una famiglia incaricata all’acquisto , effettuai un sopralluogo nell’immobile per vedere se poteva adattarsi ai bisogni della famiglia.
L’immobile, dopo approfondite indagini non risulto adatto e rimase invenduto.
La facciata ad est del palazzo insieme alle casette a schiera di fronte , delimitava uno degli spazi più interessanti del centro storico, in quanto era percepibile l’impianto medievale caratterizzato da edilizia sparsa senza alcuna maglia ortogonale .
Le casette a schiera caratterizzate dal tetto a due falde visibile in facciata sono state deturpate da interventi eseguiti senza alcun controllo , con molta probabilità abusivi.

Palazzo Fania (poi Santelli e de Girolamo)
In via Zannotti 35 iniziano i lavori interni di stonacatura del fabbricato un tempo palazzo Fania ( di don Prospero Fania , in cui nel 1799 alloggiò( per un giorno) il generale francese Duhesme giunto a San Severo per sedare i moti rivoluzionari in atto).
Questi grandi palazzi, sorti su tessuto edificato e spazi aperti , generalmente non nascevano dopo aver demolito l’esistente (per ovvi motivi economici), ma conservavano l’impianto strutturale originario , alzando i muri portanti o rinforzando con arconi le volte dove sarebbero stati appoggiati i nuovi muri portanti. Per questo motivo, i palazzi edificati inglobando l’edilizia esistente, si adattavano alla posizione dei muri di fabbricati orientati diversamente , riportando tutte queste difformità nella disposizione delle stanze tutte “storte” tra loro.
Conoscevo questo palazzo fin da ragazzo, appena laureato eseguii un rilievo molto accurato del primo piano (di proprietà del dott. Saverio De Girolamo). Dopo aver attraversato l’androne e il cortile, sulla sinistra alcuni scalini in pietra con balaustra in ferro battuto davano l’accesso ad una scalinata coperta ma con archi sulla sinistra salendo. Giunti sul pianerottolo da un portoncino a due ante di fronte alla scalinata si entrava in un grande salone a pianta quadrata con due balconi , uno su via Zannotti e l’altro sul cortile. Un secondo portoncino, a destra del pianerottolo portava a un ingresso coperto con volta detta a “incannucciato” rivestita con carte decorate.
Le operazioni di stonacatura hanno messo allo scoperto delle realtà architettoniche prima nascoste.
La parete di un salone conservava ancora due arconi di un loggiato esposto a ovest con vista sul Gargano (ancora visibile prima dell’edilizia intensiva ottocentesca).
Il portone d’ingresso del palazzo è in pietra con grosse bugne, simile a quello di palazzo Celestini su via dei Quaranta e a quello laterale della chiesa di s.Maria di Calena sotto Peschici.
Ottobre 2011, la demolizione di un tratto di muratura posata sopra un trave di legno rivela l’esistenza di un tratto di decorazione alla sommità del muro retrostante. Una fascia bicolore, rosso gialla su fondo avorio chiaro è interrotta da cartigli disegnati a pennello con rapidità e maestria. Non faccio a tempo a fotografare i cartigli che i muratori mi avvertono che attraverso i fori di un plafone in rete e intonaco si vede qualcosa. In effetti , una volta che gli occhi si sono abituati alla poca luce , si vede chiaramente prima un viso, poi una figura intera che regge con una mano un cappello triangolare di foggia settecentesca. Una sorta di saluto fatto togliendosi il cappello di fronte ai nuovi scopritori.


Gennaio 2011
facciata laterale della chiesa di san Franceso, blocco riusato, uguale a quello del rosone di santa Maria
Discutendo con amici di  pietre antiche presenti in alcune chiese di San Severo l’attenzione si accentrò su alcuni conci in pietra calcarea decorati con racemi e foglie di vite
La parte interna del rosone sulla facciata della chiesa di santa Maria è formata appunto con questi blocchi. Curiosamente altri blocchi uguali , non simili, sono stati individuati altrove :due sulla parte alta della facciata laterale della chiesa di san Francesco e uno nella chiesa di san Severino, sotto lo stipite in pietra di una porta murata, sotto l’organo settecentesco.
particolare del rosone sulla facciata principale della chiesa di santa Maria
Il fatto che questi blocchi siano stati riutilizzati contemporaneamente in tre chiese diverse, accredita l’ipotesi di una fase ricostruttiva dopo un evento sismico particolarmente distruttivo.
In effetti, una grande quantità di blocchi lapidei con decorazioni caratteristiche del periodo romanico è ancora visibile sulle facciate laterali di molte chiese. 

La grande Piazza

Nel suo teatro topografico della capitanata lo storico Matteo Fraccacreta , parlando della città di San Severo, cita spesso la Grande Piazza, un grande spiazzo che caratterizzava nel passato la zona del centro storico. Di quello che in origine doveva essere un vasto spazio, rimane oggi   piazza della repubblica che in verità più che a una piazza somiglia ad una strada per il suo svilupparsi in lungo. Eppure nei secoli precedenti su questa piazza si affacciavano edifici importanti come il palazzo del principe, il tribunale. il convento dei celestini, la chiesa di santa Margherita, il vescovado.
La caduta accidentale di un pezzo di intonaco alla base di un pilastro di mattoni di un fabbricato su via Daunia * ha messo allo scoperto i segni di usura provocati su quel pilastro dagli assi metallici delle ruote dei carri che, salendo da porta Lucera verso Nord, trentasette metri prima dell’attuale via Soccorso giravano verso sinistra , operazione oggi impossibile per la presenza di fabbricati. Immaginiamo di far sparire sia i fabbricati sulla sinistra di via Daunia subito dopo vico Carceri vecchie che quelli sulla continuazione di via Daunia fino a via dei Quaranta . Ecco che appare la Grande Piazza su cui, ruotando lo sguardo da sinistra a destra possiamo vedere l’ingresso del tribunale, il palazzo del principe, verso il fondo, in mezzo alla piazza la chiesetta di santa Margherita e, verso destra, alle spalle di questa, l’ingresso del convento dei Celestini e ancora a destra il grande palazzo del Vescovado (il Seminario ancora non era stato costruito) e poi la strada (via Soccorso) sul cui lato destro si trovava un gruppo di casette con tetto a due falde costituite da piano terra e primo piano costruite attorno ad una grande corte in mezzo alla quale , tra gli alberi, spiccava un trappeto oleario, in posizione seminterrata . La chiesetta di santa Margherita , per secoli (dal 1639 *) isolata al centro della grande Piazza, fu inglobata nella costruzione del real teatro borbonico (1819 *). La grande galleria (detto l’arco della neve)  consentiva agli spettatori , in caso di pioggia ,di scendere dalle carrozze al coperto  e raggiungere il teatro dall’ingresso secondario. 

Il palazzo del Principe

Il Lucchino, nella sua Cronaca del sisma del 1627 fa cenno a questo palazzo “più comodo che bello” posto in capo alla piazza. Il riempimento edilizio dei grandi vuoti urbani del medioevo ha nascosto definitivamente la piazza così com’era  in origine. Con una certa difficoltà si riuscì a individuare dov’era il “capo della piazza” che per importanza e altitudine veniva identificato con l’attuale piazza Municipio dove si trova l’ingresso del Municipio. Invece, da documenti inediti letti successivamente, si precisava che il “capo della piazza “ coincideva con l’attuale via Colonna, altimetricamente posta più in basso rispetto a piazza Municipio. Una sorta di platea naturale dove il pubblico poteva assistere agevolmente allo spettacolo di punizioni  ed esecuzioni di condannati legati, appunto, alla colonna di “porfido” demolita nel 1799. Nelle cantine è presente un vano che passa sotto vico tribunali e raggiungeva le cantine del tribunale.


Fosse granarie

 Tra il 1956 ed il 1958 frequentai la Scuola Media Palmieri  all’interno del convento di san Sebastiano a fianco della chiesa della Libera. Durante il tragitto su via Filippo d’Alfonso mi capitò di vedere le fosse del grano aperte e seguire le operazioni relative allo svuotamento.


Cisterne
Dal libro “Appunti per una storia di San Severo” scritto da A. Gervasio, apprendiamo che per abbeverare gli animali e per i lavori domestici si usava l’acqua di pozzo, mentre per cucinare e bere si adoperava l’acqua piovana raccolta nelle cisterne.
Via U. Fraccacreta. Durante i lavori di ristrutturazione di un fabbricato, il rilievo dello scantinato evidenziò un volume senza aperture dalle dimensioni considerevoli. Fu praticato, con molta fatica a causa della durezza della malta pozzolanica, un foro per apprezzare lo spessore della muratura. L’operazione accertò la presenza di una cisterna a pianta rettangolare avente un’altezza di circa 4 metri coperta  con una  volta di mattoni con ugelli in pietra sporgenti  in sommità per la raccolta dell’acqua piovana.
Via Daunia: Durante i lavori di ristrutturazione di un  locale retrostante un esercizio commerciale a piano terra fui incuriosito da un gradone alto circa una settantina di centimetri rispetto al pavimento,lungo quasi sei metri e largo due . Rimosso un pezzo di pavimento( del gradone) in un angolo, vennero fuori due vasche in muratura la prima delle quali era riempita con ciottoli di varie pezzature fino alla sabbia, la seconda era piena di carbone. Eseguendo un foro verso la parte centrale del gradone si scoprì una grande cisterna, profonda circa sei metri a pianta rettangolare, con le pareti perfettamente intonacate ed imbiancate in cui l’acqua piovana, proveniente dalle coperture dei piani superiori, cadeva dopo essere stata filtrata nelle due vasche descritte prima. Una tubazione metallica con filtro a cipolla all’estremità pescava fino al fondo della cisterna. Tramite una valvola l’acqua veniva aspirata e portata nella cucina  e nei locali di servizio.
Palazzo di città: chiostro antico. Durante i lavori di ripavimentazione, a fianco della bocca del pozzo, venne  alla luce una canaletta in mattoni che convogliava le acque piovane provenienti dai tetti direttamente nella cisterna sottostante.


Le mura urbiche
Rappresentano un argomento dove la fantasia ha predominato per anni: tutti ne hanno parlato ma nessuno o quasi le ha mai viste. Personalmente posso ritenere di averne visti alcuni tratti, inglobati in fabbricati antichi, durante lavori di ristrutturazione. Matteo Fraccacreta le descrive accuratamente. Composte di tufi disposti in fasce orizzontali intervallati a filari di mattoni in argilla cotta dalle dimensioni non usuali pari a cm.8 x 17 x 38. Certamente il materiale che componeva le mura fu totalmente riutilizzato per l'edificazione delle fabbriche settecentesche. Infatti i mattoni delle dimensioni riportate dal Fraccacreta sono stati notati nel forno a calotta nei ruderi del Castello nei pressi della chiesa di san Giovanni.

 Via Montechiaro- le facciate delle case sul lato destro della strada ricalcano il percorso delle mura, sul fondo una vecchia torretta, sporgente dal perimetro  conserva la scala esterna.




La chiesa della Pietà

Il sisma dell’ottobre 2003 provocò danni significativi all’interno della chiesa. La grande cupola, sin dal momento della sua costruzione nel 17.., costituì un elemento critico per la statica dell’organismo architettonico in quanto fu costruita senza preoccuparsi molto delle spinte che avrebbe provocato nei muri ad essa sottostanti. Infatti, le cronache successive alla sua costruzione riportano tutta una serie di dispositivi tecnici messi in atto per ovviare agli inconvenienti che si manifestavano con continuità. Il peso sbilanciato della cupola spostò il muro della facciata posteriore verso vico Carità. Per contrastare la rotazione del muro fu costruito un muro a scarpa dapprima in muratura successivamente sostituito da uno in pietra dalle dimensioni maggiori rispetto al primo.
Ciononostante , ad ogni terremoto di particolare intensità si assisteva al distacco del tamburo della cupola dal resto della muratura della navata. Ad aggravare la situazione contribuì l’innalzamento del campanile a vela che fu ampliato in larghezza fino ad appoggiarsi sulla sommità del muro della navata  verso il cortiletto interno.

I corpi di guardia
Porta Apricena
Un ambiente a piano terra con accesso da vico Corvo, un vicoletto di fronte alla chiesa di san Lorenzo, mi aveva incuriosito per alcuni elementi non consueti. Su di una parete, a fianco di un camino molto largo e profondo si trovava una nicchia larga circa un metro , profonda una sessantina di centimetri e alta poco meno di due metri. Un ferro tondo robusto era messo in orizzontale a circa un metro e mezzo da terra, sulla destra , sempre per la profondità di sessanta centimetri erano state ricavate delle nicchie in muratura . Avendo fatto il militare , mi ricordai dei turni di guardia fatti durante l'inverno quando, dopo due ore passate all'addiaccio nella campagna romana, si poteva tornare nella capanna di legno in cui una stufa accesa dava un po di sollievo. Con queste considerazioni immaginai quale poteva essere una possibile destinazione di questo locale: la cappottiera a muro avrebbe dovuto contenere le uniformi , mentre nelle nicchie si potevano collocare agevolmente armi e cappelli. L'ipotesi era verosimile dal momento che a poche decine di metri da questo locale si trovava porta Apricena.
Un locale simile a questo lo trovai sempre a piano terra del vicolo di porta Foggia, di fronte a palazzo Del Sordo - Ricciardelli.



Il Seminario

Era il 1997, tre anni prima del grande Giubileo. Negli ambienti religiosi si ipotizzavano grandi flussi di pellegrini  verso le zone a valenza religiosa per cui occorreva incrementare o creare delle strutture adatte all’accoglienza. Il fulcro dell’accoglienza era san Giovanni Rotondo, ma non si escludeva il coinvolgimento dei centri vicini. Per essere preparati all’evento , senza sapere che i giochi erano ormai fatti, con un collega progettammo un luogo per l’accoglienza nel locale seminario, all’epoca dotato di locali vuoti o poco utilizzati,  adattandolo con pochi accorgimenti alla nuova funzione. Ricordavo questo luogo , di fronte alla casa in cui ero nato, per la presenza dei seminaristi che il pomeriggio uscivano intruppati con gli abiti neri e lunghi, oscurando per un istante la facciata dell’edificio sempre assolata , orientata com’era da est a ovest. Nelle giornate più tiepide ricordo la sagoma imponente del vescovo Orlando che, breviario alla mano, percorreva in lungo e in largo la grande terrazza.(dimenticavo di dire che il seminario e il vescovado erano l’uno a fianco dell’altro e tra loro comunicanti. Il vescovado era coperto a tetto , il seminario, oltre a una parte coperta a tetto (la più antica) aveva anche il terrazzo.
Il rilievo evidenziò subito la presenza di un edificio più antico inglobato in una espansione settecentesca dotata anche di una grande cantina con grandi archi rampanti che sorreggevano la scalinata. In una piccola e angusta cantina sotto un arco in muratura si rinvenne una catasta di riggiole maiolicate uguali per decorazione ad altre ritrovate durante i lavori del 1984 nel chiostro del convento di san Lorenzo.


San Giovanni in Piano
Sempre nel 1997 , nei fervori dei preparativi in vista del Giubileo, in Abruzzo fu costituito il consorzio celestiniano per celebrare i luoghi visitati da Celestino V.
Il monastero di san Giovanni in Piano era uno di questi e, di conseguenza, fu oggetto di indagini e di progetti .Il monastero si raggiunge dalla strada che da Apricena porta alla stazione .
Con qualche difficoltà, superando la diffidenza degli occupanti del podere, ottenemmo il permesso di raggiungere i ruderi del monastero posti in una posizione più elevata  rispetto alla strada.
Visto dal basso il monastero appare come un volume insignificante con qualche bucatura . Solo al termine del percorso in salita ,l’edificio acquista potenza, anche grazie alle mura in pietra che lo circondano e lo nascondono man mano che ci si avvicina. Attraverso una porta nelle mura si entra in un grande spiazzo su cui affaccia il lato sud del monastero con le antiche monofore murate e sostituite dalle più grandi finestre settecentesche con stipiti e cimase in mattoni. Una grande scala in pietra conduce al primo piano. Dalle finestre del lato sud si vede il Tavoliere, a nord si vede il mare e le isole Tremiti, verso est in alto dominano le rovine di castel Pagano.
Le pareti scrostate lasciano intravedere attraverso i buchi dell’intonaco il sistema costruttivo fatto di pietre squadrate posate quasi a secco e bloccate tra loro adoperando schegge di pietra più sottili. Il lato nord affaccia verso una grande spianata con al centro la bocca di un pozzo quasi a livello del suolo. Non esiste terreno, è tutta roccia a strati affioranti , gli stessi strati da cui sono stati ricavati i blocchi per la costruzione. Lungo la parete sono infisse, a poco più di tre metri d’altezza, delle mensole in pietra con un dentello sullo spigolo superiore: probabilmente erano l’appoggio per una trave su cui poggiava l’orditura di un tetto . Matteo Fraccacreta visitò il monumento alla fine del settecento e racconta dei resti di un porticato con cenni di un arco in muratura poi caduto. Nella  parete a nord , inseriti verticalmente nella muratura , vi sono dei vasi cilindrici in terracotta inseriti l’uno nell’altro per convogliare le acque piovane nella cisterna. Il piano terra ha l’aspetto di un opificio, per la presenza di grandi camini con mensole in ferro per spostare i paioli dal fuoco verso l’esterno.




Il vecchio campanile di san Francesco
Sulla facciata laterale a sinistra della chiesa di san Francesco, con ingresso dal chiostro si trova la base di un piccolo campanile con volta a crociera di tipo gotico catalano con chiave a raggiera.



Finestra gotica in sant’Agostino

Nell’anno 1989, su incarico dell’arciconfraternita della chiesa del Soccorso preparai un computo metrico  per quantificare le spese per opere di manutenzione alla facciata esterna della chiesa. I coronamenti in pietra della facciata principale furono rivestiti con fogli di piombo resi aderenti alla superficie di scolo con un  risvolto verso l’esterno di poco più di un centimetro in modo da smaltire efficacemente la pioggia verso l’esterno senza interferire con l’aspetto architettonico. Sulla parete laterale , montato il ponteggio ed iniziata la pulizia dei muri ci si accorse che una fodera di mattoni pieni montati a foglio suonava a vuoto e risultava pressoché distaccata dal resto della parete . Un saggio eseguito sulla fodera, asportando qualche blocchetto, evidenziò un vuoto retrostante. Si decise allora di rimuoverla . Venne fuori un finestrone gotico con strombatura verso l’esterno , realizzato con mattoni sagomati e con un archivolto superiore realizzato con mattoni a cuneo con scanalature sulla faccia esterna  in modo da formare una decorazione zigzagante. Successivamente , da un’indagine approfondita sulle tacche , si dedusse che in queste dovevano essere inserite delle tessere in pietra. I mattoni che formavano l’archivolto risultavano sagomati a crudo, prima della cottura. All’interno della strombatura di mattoni si trovava il vano ogivale della finestra  ricavato svuotando delle tavelle in pietra calcarea. Sulla stessa parete fu individuato il segno di una seconda finestra di cui era rimasta solo la base; verso la parte terminale del prospetto doveva esserci una terza finestra ma in quel punto il muro risultava totalmente ricostruito senza alcun segno di aperture. Sotto la prima finestra, da via Soccorso, verso il basso, si poteva notare il segno di una porta murata. Immaginando la presenza di tre finestroni gotici con archivolti decorati a motivi zigzaganti non si spiegava il motivo di un tale apparato decorativo verso un vicolo che non permetteva neanche di vederli. Fu ispezionato il lotto dall’altra parte di vico sant’Agostino e la risposta non tardò ad arrivare. Tracce di murature medievali, con aperture murate un tempo affaccianti sulla piazza , ora prospettavano su spazi interni ancora con alberi, nascosti all’interno delle case , definivano una piazza larga almeno 18 metri per cui, percorrendo la strada verso porta Foggia dopo aver lasciato alle spalle santa Maria si poteva ammirare tutta la facciata con i finestroni illuminata dal sole , essendo esposta a sud ovest.

 Borgo Casale
 Mio nonno materno, da ragazzo, abitava in una casa di Borgo Casale, che ora è attaccata alla casa in “stile moderno” realizzata dall’ing. Aldo Gervasio subito dopo il 1930. Un giorno mi raccontò un episodio capitatogli quand’era giovane. Nella cantina sottocasa ( in via Borgo Casale) durante alcuni lavori di rifacimento della pavimentazione era venuta fuori una vasca in pietra, una sorta di sarcofago. Tornando su a casa trovò nell’anticamera un vecchio con la barba, mai visto prima. Pensando che fosse un conoscente della famiglia gli si avvicino, ma questi, appena l’ebbe a tiro, gli tirò uno schiaffo in piena faccia.
Mio nonno raggiunse le altre camere in cerca dei genitori che erano assenti, ma una volta tornato in anticamera si accorse che il vecchio era sparito. Dopo aver raccontato l’accaduto ai genitori, questi decisero di ricoprire il “sarcofago” scoperto in cantina e il fatto non ebbe più a ripetersi. Negli anni 60 i locali a piano terra furono adibiti a vetreria ( si realizzavano specchi, finti marmi per i ripiani dei mobili..)  in cui ero solito trattenermi durante le vacanze.  Sul muro di fronte caratterizzato da un andamento a gradoni verticali avevo notato che sotto ogni angolo si trovava una pietra dalle dimensioni insolite. Quello davanti alla porta della vetreria poggiava su di un capitello a pianta quadrata, rovesciata, con tanto di foglie di acanto come quelle che disegnavamo ai tempi del liceo. Alcune di queste foglie qualche tempo dopo le ritrovai rotte a martellate perché davano fastidio a chi percorreva abitualmente quella stradina in macchina. La pietra sotto il primo angolo era invece la base di un torchio. Lo capii molti anni dopo, quando fui incaricato della ristrutturazione di alcun abitazioni attaccate alla casa del nonno. I locali , oggetto della ristrutturazione , affacciavano su via Borgo Casale, su vico Corvo e su un piccolo slargo a metà del vico. Il piccolo borgo sorgeva alla periferia della San Severo medievale alle spalle del convento di san Francesco. Era formato in origine da case basse con il tetto a due falde;   in qualche muratura si trovavano  aperture talmente strette e basse da cui era impossibile che potesse passare una persona , anche se bassissima. L’osservazione di un muratore presente alle operazioni di rilievo fu illuminante: da quei piccoli vani passavano, per essere contati, gli ovini durante il periodo della transumanza, mentre le piccole abitazioni, formate da un solo locale con camino erano il ricovero per i pastori. Questa osservazione appariva molto fondata, considerando che San Severo si trova alla biforcazione del tratturo regio che provenendo dall’Abruzzo si sdoppia in due rami, il primo verso Manfredonia e il secondo verso Bari.

Il Castello
Leggendo il “Domus bellumvidere”di Nino Casilio ne fui fortemente impressionato per la testimonianza diretta di quello che ancora esisteva negli scantinati. Leggendo le descrizioni del Lucchino e del Fraccacreta cominciai ad immaginare come poteva essere il volume originario del castello di cui oggi al di sopra del livello stradale esiste solo qualche toponimo come le targhe stradali come “largo del castello” oppure “strada da P.ta Castello a P.ta Foggia”, alle spalle del Mercato coperto all’angolo di un fabbricato si può ancora leggere Piazza N. Tondi anche se la piazza è stata riempita proprio dal Mercato (piazzetta coperta). Occorreva dare una collocazione precisa alla piazza Castello, al largo del Castello e non ultima, a “porta Castello”. Cominciai a ragionarci su con disegni, prospettive e ricostruzioni.
Pianta dei luoghi circostanti il castello di San Severo               (arch. G. di Capua 1996)
Occorreva scendere nei locali sotterranei per un’indagine più approfondita. Ho impiegato diversi giorni , approfittando della cortesia del dott. Cella, ad eseguire un rilievo dei vani interrati.  
La prima volta rimasi stordito a causa della mancanza di ossigeno e feci appena a tempo a risalire. Le volte successive ( con la collaborazione dell’arch. Paola Caposiena) ebbi l’accortezza di fare arieggiare gli ambienti prima di scendere. Le cantine erano ancora divise come nel 700, quando Chirò ,Tondi e Recca acquistarono (da chi?) i ruderi del castello che all’epoca sporgevano appena dal livello stradale. La parte più interessante era quella verso la chiesa di san Giovanni dove ( sempre nel sottosuolo) si possono vedere ancora due delle quattro torri d’angolo. Un’emozione particolare la provai entrando in un piccolo vano circolare (la torre della Regina) e battendo la testa sotto l’architrave molto basso. L’interno di questa torre, con il diametro di appena m.2.50 era caratterizzato da una serie di finestrini che da destra a sinistra  scendevano progressivamente , come per dare luce ad una scala a chiocciola man mano che scendeva. La scala a chiocciola non si vede più perché il pavimento è formato da terra battuta, ma spostandosi in un locale verso destra, in un angolo ,attraverso un arco ribassato si scende verso uno scantinato inaccessibile per la presenza di acqua. Di fronte all’ingresso della torre (della Regina) sul pavimento due apertura davano luce ed aria ad alcuni locali sottostanti ricolmi d’acqua.

Vico Pellegrini 
costruzione di vico Pellegrini demolita agli inizi del 2000
Verso la fine degli anni 70 fui interpellato da un collega per collaborare alla ristrutturazione di un fabbricato di vecchia costruzione tra via U. Fraccacreta, via Morelli e Silvati e vico Pellegrini. La ristrutturazione non ebbe luogo per motivi di convenienza, e l’intervento tecnico si limitò al rilievo. Le facciate dell’edificio erano il risultato di secoli di storia e riportavano diverse tipologie edilizie dalle casette coperte da un tetto a due falde, ad un costruzione settecentesca fino ad un “palazzotto” ottocentesco con portone in pietra , stemma e pietra angolare. Con l’impresa, proprietaria del lotto, procedemmo al rilievo delle quattro facciate dell’intero isolato, con l’aiuto di livelli ad acqua per rilevare anche la posizione altimetrica delle varie aperture rispetto al fondo stradale. Oggi di quell’isolato resta solo il rilievo delle facciate e qualche foto scattata casualmente . Eppure quel gruppo di case meritava una sorte diversa perché conservava ancora qualche testimonianza dell’ospedale dei pellegrini. L’ospedale doveva occupare un angolo dell’isolato compreso un grosso spazio scoperto all’interno delle mura nei pressi di porta san Nicola. Tale spazio insieme ai resti delle mura fu successivamente coperto con volte a botte e utilizzato come trappeto oleario. Dal 1950 in poi la struttura , di proprietà comunale,fu destinata a deposito dei bidoni delle immondizie oltre che  ospitare gli addetti ai lavori; per molti anni fu conosciuto come “lo spazzamento”.
 Alla fine del secolo scorso (1996) in questo locale seminterrato  si svolse una sessione di rilievo a conclusione di un corso per la valorizzazione del centro storico di San Severo. Durante le misurazioni furono rinvenute , sotto la pavimentazione in terra battuta, alcune pietre che poi risultarono essere le basi di torchi oleari. Durante lo scavo vennero fuori alcuni  pezzi di grosse viti in legno. In una conferenza a fine corso fu presentata al pubblico la presenza di questo spazio insieme alle sue possibilità di recupero , proposte dagli studenti. Qualche tempo dopo, il grosso locale , di proprietà comunale fu dato in comodato d’uso  ai componenti di una società produttrice di spumanti che ,con molta sensibilità e gusto,lo hanno aggregato alla loro  cantina  (nell’isolato dall’altro lato della strada)  tramite la realizzazione di una galleria che passando sotto la sede stradale consentiva il passaggio di carrelli e persone. Nei periodi di riposo , per la sua particolare valenza architettonica, lo spazio recuperato a nuova vita viene utilizzato anche per attività culturali ed eventi artistici.

Le casette di San Severo
piazzetta su vico Mazzilli
 Nel centro storico , in mezzo a tante case tutte uguali non sempre belle, ogni tanto affiorano delle forme nobili nella loro semplicità. Le casette con il tetto  a due falde , quasi sempre a schiera e con camino in facciata  rappresentano una testimonianza della vecchia San Severo.
case a schiera su via Polichetti (non più esistenti)

 Capita anche di ritrovare le tracce dei tetti a due falde nascosti in facciate ottocentesche ma ancora visibili grazie alla diversa tessitura dei mattoni che affiora sotto le pitture cadute o gli intonaci scrostati. Un gruppo cospicuo di questi fabbricati è presente nell’angolo sud est dell’isolato delimitato da vico Seminario, vico santa Maria , via Soccorso e via Daunia.  Sono abbandonate da diversi decenni con le aperture murate per evitare incursioni da parte dei balordi. Nel 1998 fui chiamato per dirigere opere di manutenzione al tetto del fabbricato principale. Ne approfittai per dare un’occhiata all’interno del primo piano fino a quel momento inaccessibile. La scala d’accesso smontava quasi a metà del primo locale, adagiata sulla parete di destra. Attraverso un arcone si accedeva ad un secondo locale con un grande camino e , a fianco a questo una grande apertura, murata, un tempo permetteva di guardare o scendere nello spiazzo sottostante. Quello che mi colpì fu la grande quantità di luce che entrava dall’esterno. Le abitazioni più antiche erano state concepite e costruite in funzione della luce del sole, via Daunia, in particolare aveva lo stesso orientamento dell’asse eliotermico ideale , nord – sud inclinato verso est di 25°. Caratteristico è il piccolo rione del Rosario , tra le vie Palombo e Roseti, dove le case, tutte a piano terra e a schiera , hanno più l’aspetto di un accampamento di tende che di abitazioni.
case a schiera su via s. Maria
Via Mercato, Vico Cicorielle, rione del Rosario, vico Curvo, vico Corona

Uno spazio barocco
Grazie al rilievo abbastanza accurato del piano terra di palazzo Celestini è stata individuata la presenza di un asse barocco , una sorta di passeggiata delle meraviglie che univa visivamente il sagrato della chiesa di San Severino con via Soccorso. Questo era possibile perché al piano terra del seminario ,alla sinistra dell’ingresso principale, una galleria passante permetteva di vedere da via Soccorso , il portale del vecchio ingresso del convento dei Celestini. L’intervento settecentesco dell’abate G.M. Turco proseguì nel senso della lunghezza, l’androne antico con 10 volte a stella che si susseguivano per una lunghezza di circa m.62.50 per fermarsi sul sagrato della chiesa di san Severino, uscendo da un portale simile a quello più antico, anche lui bugnato ma caratterizzato da una varietà di pietre dai toni dal giallo al rosato con l’uso sporadico di qualche breccia.

 Le volte sono a crociera a stella con al centro un incasso nella muratura . Questo tipo di volta l’ho ritrovato frequentemente nel barocco ,ma è unico dalle nostre parti.  Questo asse che un tempo univa i due cortili con la vista dell’antico chiostro oggi non è più percorribile nella sua interezza perché , oltre che ad essere stato frazionato in più proprietà, quella comunale è stata a sua volta suddivisa in tanti ambienti di servizio facendo perdere  per sempre la percezione dello spazio unitario e della prospettiva della sequenza delle dieci campate.
Palazzo Celestini, tratto del corridoio che da via dei Quaranta conduceva a via A. Fraccacreta

Il pozzo di san Lorenzo e lo spazio ipogeo
Nel 1984 partecipai ai lavori di restauro del monastero di san Lorenzo, più precisamente dei locali a pianoterra occupati dalla scuola elementare. Dopo aver ristrutturato i locali che affacciavano sul chiostro prendemmo in considerazione il pozzo la cui bocca, al centro di un basamento in pietra alto 10 cm. da livello del suolo ,chiusa da una robusta inferriata lasciava intravedere a malapena l’acqua sul fondo. L’impresa non aveva nessuna intenzione di svuotarla , per non affrontare costi non previsti . Cominciai ad affacciare diverse ipotesi quali la caduta di eventuali oggetti preziosi caduti dalle mani o dal collo delle suore mentre alzavano e calavano il secchio. Dopo qualche giorno, durante una visita al cantiere, l’imprenditore mi si avvicinò , sussurrandomi che il pozzo era stato prosciugato e che sul fondo c’era qualcosa.
Alla presenza di un rappresentante della Soprintendenza, dopo qualche giorno si procedette al recupero dei reperti visibili sul fondo della cisterna. I primi a venire fuori furono dei blocchi di pietra del tutto simili allo stipite di una porta. Alla fine furono accatastati l’uno sull’altra tante pietre che un dipendente, armato di bocchetta d’acqua provvedeva a lavare dalla melma man mano che venivano alla superficie. Venne fuori anche un caricatore di proiettili totalmente arrugginiti ed una tazza di caffelatte di manifattura inglese , almeno così riportava il marchio sul fondo. Fu estratta anche quella che doveva essere una secchia di rame : dopo qualche ora , posta ad asciugare, si trasformò in mucchio di polvere.. E’ impressionante come le notizie si spargano in fretta quando è in atto un fatto nuovo in un paese dove le novità quotidiane riguardano generalmente l’iperattività delinquenziale è l’inattività politico amministrativa. Una marea di gente andava e veniva, tutti avevano qualcosa da dire. Sparirono subito il caricatore e la tazza: neanche il tempo di poterli fotografare. Un signore anziano riferì di aver visto alcuni soldati negri (eravamo ai tempi dell’ultimo conflitto mondiale quando le truppe alleate erano state alloggiate in strutture pubbliche e palazzi privati) smontare le pietre della bocca del pozzo e gettarle  nell’acqua sottostante perché impedivano di collocare una bistecchiera sotto la tettoia tuttora esistente. La presenza dell’acqua evitò che le pietre si frantumassero  e le conservò per circa quarant’anni (1944-1984).La maggior parte dei  blocchetti in pietra erano ancora integri ad eccezione di  quelli del coronamento superiore in cui erano infissi i ferri a sostegno della carrucola che, ossidando ,erano aumentati di volume facendo letteralmente esplodere le pietre in cui erano infissi. Blocchetti interi e frammenti vari furono conservati in cassette di legno in attesa di tempi migliori visto che l’impresa, delusa per il mancato ritrovamento di tesori, aveva chiesto una cifra impossibile per il loro restauro e ricollocamento. Dopo una decina di anni, alla notizia che per motivi didattici serviva la stanza dove erano stati conservati i reperti , temendo per la loro sorte, mi offrii volontario e sponsor per il recupero . Il Comune offrì la prestazione di un muratore mentre con l’aiuto di un marmista procedetti alla ricomposizione dei frammenti che, con molta pazienza  furono ricomposti  e saldati con un’apposita resina . Una nuova inferriata, ridisegnata grazie ad una foto d’epoca pubblicata su una vecchia rivista*, fu costruita da un valente artigiano e ricollocata nei fori esistenti. Alcuni blocchi del basamento, nella parte interna  presentavano tracce di vecchie decorazioni o cornici. Il pozzo è in effetti una cisterna a pianta quadrata con lati larghi poco più di m.5 , alta m.5. 70. Pavimentata con cotto chiaro di formato quadrato posato a 45° presenta al centro un pozzo circolare di diametro di m.1.00. In alto è chiusa da una volta a padiglione con beccucci in pietra  in ogni segmento di volta. La bocca di pozzo è coperta con una tettoia in travi di legno e coppi sorretta da quattro colonne con altrettanti capitelli provenienti probabilmente dal chiostro più antico demolito per la realizzazione del nuovo monastero con annessa chiesa su progetto dell’arch. Astarita nel 1778.
L’ipogeo.
Entrando nel chiostro, sul lato a sinistra alla terza campata, venne fuori una scalinata in mattoni che conduceva ad un vano sotterraneo totalmente riempito di detriti e materiali vari probabilmente alla fine della guerra mondiale . (Fu estratta una transenna con su scritto in rosso OFF LIMITS) Il locale era preesistente alla costruzione del monastero, infatti le murature perimetrali, tranne quelle a confine con il chiostro avevano un orientamento totalmente diverso. Sulla parete alla destra di chi scende era murato un arco ogivale in muratura , murato. Il fatto che questa apertura si trovasse in direzione del monastero  benedettino di san Francesco fece fiorire una serie di ipotesi su presunti camminamenti a sfondo erotico tra i due conventi.

Vista sul Gargano
Il Gargano è un elemento di riferimento paesaggistico di notevole importanza. La sua posizione, a Nord di San Severo, rappresentava  il punto ideale su cui orientare logge, porticati, terrazze in modo da godere del paesaggio e contemporaneamente, d’estate, dei venti freschi . La sua posizione è stata alla base dell’asse visivo del viale della stazione progettato verso la fine dell’ottocento dall’ing. Bonomo e dall’ing.Greco con i loro piani regolatori che, in maniera sorprendente si succedettero l’uno all’altro nell’arco di pochi anni. Il tessuto edilizio in quella zona era orientato in maniera totalmente diversa diversa. L’attuale viale della stazione riporta come punto focale appunto il Gargano con Rignano in bella vista, percepibile dietro il fabbricato della stazione. Basta leggere le relazioni che accompagnavano i piani regolatori prima citati per rendersi conto che l’urbanistica metteva al centro di tutto l’uomo con le diverse implicazioni socio economiche e non gli appetiti degli imprenditori edili. I progettisti dei vari piani urbanistici si preoccupavano di rendere più agevole il percorso dal centro della città alla stazione e viceversa. Furono realizzati due percorsi pedonali tra loro paralleli ombreggiati dalle chiome delle querce, le cui radici avevano anche la funzione di rendere più compatto il terreno di riempimento alto circa tre metri dal piano di campagna ancora visibile alle spalle di qualche fabbricato sul viale. Uscendo dalla stazione verso la città il viaggiatore , specialmente d’estate, provava sollievo nel vedere, già da lontano, la fontana a pianta ottagonale che zampillava , promettendo refrigerio.
Nel convento femminile di san Lorenzo le monache più anziane e più abbienti, avevano gli alloggi con verande che affacciavano verso il Gargano.
Nella villa comunale, costruita a fine ‘800, un rialzo artificiale (la montagnella) consentiva e tuttora consente di godere di un affaccio naturale verso il monte. Speriamo che i Sanseveresi siano in grado di difendere questo diritto al paesaggio , esercitato fin dal 1897 regalato loro dai galantuomini dell’epoca che anteponevano il bene pubblico al proprio tornaconto.

La breccia corallina
Sono sempre stato incuriosito da questa strana breccia ( più precisamente si tratta di una puddinga o conglomerato) dall’aspetto più di un torrone che di una pietra. I pochi libri di mineralogia che la citano indicano le Siria come la regione in cui questa pietra veniva estratta nell’antichità, ignorando del tutto una zona della capitanata dove i giacimenti della breccia corallina sono frequenti ai piedi del Gargano. In queste zone la terra assume un colore particolarmente rosso, come se il Gargano fosse venuto fuori dalla pianura attraverso una ferita sanguinante. Dopo lunghe ricerche sono riuscito ad individuare una vecchia cava di breccia corallina lungo la strada che da Apricena porta a san Marco in Lamis sotto Castel Pagano (contrada santa Lucia). Alcuni storici non escludono che in questo luogo siano stati estratti i blocchi di breccia per Castel del Monte. Personalmente ho raccolto alcuni breccioni lungo la strada e li ho portati dal marmista perché li tagliasse e li lucidasse: il risultato è stato sorprendente, l’impasto ed il colore dell’ossido erano gli stessi delle finestre e del portale del più famoso castello federiciano . Di fronte all’ingresso della chiesa di san Severino all’interno di un cortile, alla sommità di una scala in pietra, rimuovendo l’intonaco (durante lavori di manutenzione) venne fuori un portale in breccia corallina con i blocchi che avevano le stesse misure di quelli nella bifora nel campanile della chiesa dirimpetto. A questo punto la domanda: cosa ci facevano dei blocchi di breccia c. sopra una torre di avvistamento. Una possibile ipotesi rimandava al il sisma distruttivo del 1627 , per cui,caduta la parte alta della torre campanaria e del fabbricato di fronte , parte dei materiali furono adoperati per la ricostruzione del campanile .La finestra bifora che prima del sisma si trovava sullo stesso muro o nello stesso edificio a cui si accedeva attraverso il portale anzidetto, fu trasportata sul campanile insieme agli altri blocchi.
Ma chi poteva mai abitare in quel palazzo di fronte ad una delle chiese più antiche della città, con finestra e porta d’ingresso in breccia Corallina? Senz’altro una personalità nel capo ecclesiastico. Esponendo questi dubbi ad un amico, famoso studioso medievalista, la risposta fu che poteva trattarsi dell’abate “Terrae Maioris”. A questo punto la fantasia ha fatto il resto: il “castellum Sancti Severini “ cominciava a prendere corpo. Venendo da piazza Municipio, sulla sinistra la chiesa con la casa dell’abate, a destra poteva trovarsi il piccolo villaggio con al centro il forno medievale in pietra ( l’attuale toponomastica via Formile significa poco o niente, ma via Fornile era appunto la strada del forno. Questo toponimo non è il frutto della fantasia , ma è stato ritrovato in una vecchia planimetria catastale di San Severo*). In uno studio edito dall’Università Federico II di Napoli in merito alla genesi e lo sviluppo dei paesi del meridione si ritrova, insieme ad altri, San Severo come   paese sorto nel medioevo nei pressi dei monasteri benedettini, il cui abate emanava le “Consuetudini” vere e proprie leggi il cui potere era di gran lunga superiore a quelle dello stato, per cui si eliminavano alcuni metodi di tortura . In pratica, San Severo , per effetto di queste “consuetudini” rappresentava una sorta di zona franca per quanti contravvenivano alle leggi dello stato, e che erano protetti dall’Abate, non si sa a quali condizioni.



Palazzo Stampanone
(L’ospedale di santa Sofia)

Ho avuto la fortuna di visitarlo grazie alla cortesia di Mario Stampanone ( un signore di altri tempi).
Il fabbricato sorge ad angolo tra via Daunia e via Minuziano dov’è l’ingresso. Il fronte su via Minuziano fu ricostruito agli inizi del novecento con tre piani fuori terra. Dopo aver attraversato l’androne e un piccolo porticato con colonne e metope secondo lo stile greco classico si giunge nel cortile . Sulla parete di sinistra alcuni finestrini danno luce ed aria ai locali a piano terra con ingresso da via Daunia , al primo piano si trova un balconcino con soglia in pietra e mensola centrale. La parete di destra è formata da un corpo di fabbrica composto da due locali a piano terra con cantina sottostante.. Di fronte due arconi aperti sul cortile permettono al sole di illuminare una larga scalinata d’accesso al primo piano. Giunti sul pianerottolo oltre ai portoncini d’ingresso sono presenti sulla parete dei finestrini come spioncini di controllo. Le camere interne erano abbastanza buie le uniche stanze su via Daunia erano due stanzoni di cui la più grande misurava circa m.9 x 9 con una sola finestra. Chiedo al signor Stampanone il motivo della dimensione di quelle due stanze. La risposta fu semplice ed esplicativa: erano due camerate di ospedale , letti in fila sulle due pareti opposte e finestra sul fondo per illuminare quell'antico luogo di sofferenza. Il soffitto di questi stanzoni era coperto con un tavolato ricoperto da carta dipinta blu scuro con tante stelle, il tutto in stato di disfacimento totale con le tavole penzoloni trattenute alle travi del tetto da qualche chiodo. Sullo stesso pianerottolo un portoncino a due ante conduceva all’appartamento delle suore, pavimentato in cotto chiaro tenuto così bene da sembrare messo lì da poco. Dall’appartamento attraverso alcuni balconcini si poteva vedere il cortile ed il giardino verso est.
chiesetta di santa Sofia, lato verso il giardino (demolita nel maggio 2011)
 . Verso la fine del settecento i locali dell’ospedale , trasferito altrove, divennero l’abitazione e lo studio del notaio Faiella , napoletano di origine e marito di una Stampanone. La coppia senza figli vendette successivamente il fabbricato al fratello della moglie, per cui il palazzo con lo stesso nome è giunto fino ai giorni nostri. Il giardino è attualmente delimitato da fabbriche in mattoni e da una murata in mattoni e pietre. La vegetazione prevalente è formata da alti cipressi, mentre al suolo si sviluppano dei tralci di vite secolari il cui diametro arriva fino a trenta centimetri. Da un lato, verso il “giro esterno” si nota un avvallamento   al cui interno si trova un piccolissimo fabbricato consistente nel solo piano terra. E’ quello che resta del fossato che un tempo circondava la città. Al piano terra la chiesetta di santa Sofia prendeva luce da due arcate, oggi murate, che affacciavano un tempo verso il giardino  ; sulla parete a destra rispetto all’ingresso si trova un altare in mattoni con cornici a stucco con i segni di un ovale vuoto . L’altare presenta una bocca da camino nella parte bassa. Il sig. Stampanone mi raccontò che durante l’ultima guerra molti sfollati trovarono asilo nei locali della chiesa e del contiguo refettorio. Per riscaldarsi trasformarono l’altare in camino bruciando il soffitto in legno a cassettoni dopo averlo divelto.
Palazzo Stampanone , l'altare di santa Sofia trasformato in camino (oggi demolito)

Sotto la chiesa ( in cui si trova l’accesso) e il refettorio si trova  una modesta cantina in cui si trovano ancore le botti piene di vino (almeno fino all’anno 2000). Agli inizi del 900 la parte anteriore del fabbricato , quella su via Minuziano fu sopraelevata con due piani abitabili oltre il piano terra. Del fronte originale rimane tra via Daunia e via Minuziano solo il pilastro ad angolo, formato da blocchi di pietra di riuso tra cui alcuni provenienti da Roseto Valfortore (il verde di Roseto).
chiave d'arco rimossa ai principi del 1900 durante la costruzione della nuova facciata su via Minuziano

 Fino a poco tempo fa, prima di uscire nel giardino , in un angolo era appoggiata a terra una chiave d’arco in pietra lavorata con tanto di stemma ,appartenente con molta probabilità al portone antico prima che questo venisse demolito per la sopraelevazione.
palazzo Stampanone, soffitto dipinto a tempera


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