giovedì 4 giugno 2015

SPIGOLATURE URBANISTICHE

05 novembre 2014
Dopo circa 23 anni dalla  sollecitazione (  pena la diffida) da parte della Regione Puglia a dotarsi di un nuovo piano regolatore, San Severo adotta il suo nuovo PUG (Piano Urbanistico Generale). Il nuovo strumento urbanistico gira tra gli addetti ai lavori  praticamente in forma digitale. Infatti chi desideri  stampare in forma cartacea le tavole dovrà prevedere di spendere una fortuna. Un primo esame degli elaborati mostra  un piano talmente pletorico che,  addentrandosi in temi lontani dalle esigenze del normale cittadino finisce per perdere di vista la realtà. Non parliamo poi delle norme tecniche di attuazione. Non sono l'ultimo arrivato, ma, se dovessi redigere un progetto secondo il nuovo PUG, non saprei veramente da dove partire.
Ecco, il PUG pare creato apposta per creare incomprensioni di tipo procedurale oltre che come detto, applicative. Il tutto alla faccia della trasparenza e delle semplificazioni da sempre sbandierate ma mai messe in opera.
In epoca digitale è facile verificare quanto detto.
In molte città e paesi dell'Emilia Romagna , del Veneto.. del Nord, insomma, basta cliccare sul piano regolatore locale. Viene fuori una planimetria. Clicchi sopra una unità immobiliare specificando la richiesta :
ristrutturazione, restauro, manutenzione straordinaria... In base a quello che si può fare scarichi il modello della domanda e procedi.
Veniamo a noi.
Scarico il grafico relativo al centro storico e, osservando attentamente l'elaborato, non posso fare a meno di notare parecchie inesattezze. Innanzitutto della definizione delle destinazioni d'uso attribuite ai fabbricati.
Palazzo, palazzotto plurifamiliare, casa d'aggregazione ecc..
Quasi tutti i cosidetti "Palazzi " di San Severo hanno un un androne comune con scala che si sdoppia per dare l'accesso a due unità immobiliari separate: allora vanno considerati "Palazzotti plurifamiliari"? Visto che per il "Palazzo" non è stato fissato il numero di utenze nè di superficie minima diventa cosa ardua distinguerlo dal "Palazzotto Plurifamiliare". Insomma, i criteri seguiti per attribuire le destinazioni d'uso non sono il massimo della chiarezza. Fa poi sorridere la normativa di attuazione che  segue, particolarmente ferrea e rigorosa nel rispetto e e nella intoccabilità delle partiture architettoniche, esterne e interne , dell'edificio.
L'elaborato grafico , dopo un attento confronto, è lo stesso elaborato venti anni fa dallo studio Benevolo da cui si differisce per l'aggiornamento dei nomi degli attuali estensori. In venti anni la realtà del centro storico è mutata ma tali mutazioni non sono state affatto registrate nel nuovo PUG. Incuria o dimenticanza? Ma qualcuno degli estensori del PUG è stato informato degli sventramenti, delle demolizioni totali eseguite nel centro storico negli scorsi anni in modo da evitare la redazione di elaborati non esatti e pertanto inutili ai fini pratici.

giovedì 30 gennaio 2014

Palazzo Celestini tra architettura e arte



  Palazzo Celestini a San Severo (Fg)

architettura e arte



Breve storia del Monastero
Subito dopo il terremoto del 1731, non meno disastroso di quello del 1627, per San Severo iniziò un periodo di particolare sviluppo economico  ed edilizio. In stile barocco furono edificati sia i palazzi della nuova borghesia che le chiese e i monasteri. Questi ultimi ,   discostandosi  dalla usuale sobrietà che  normalmente attiene all’architettura monastica,   entrarono  in competizione  con l'edilizia borghese sia per  l'ostentazione dei materiali che per la ricchezza dell'apparato decorativo.  Primeggia tra gli altri Palazzo Celestini che ,compresa la superficie della chiesa occupa oggi quasi un intero isolato di circa 3.500 mq., in pianta a forma di L , con tre cortili all’interno, il cui volume si erge con due piani fuori terra per un’altezza di circa dieci metri   oltre le cantine . Le sue facciate , delle vere e proprie quinte urbane, risultano determinanti per la qualità degli spazi urbani su cui prospettano, come quella su piazza della Repubblica in prosecuzione della chiesa omonima e dell’annesso campanile, per continuare con quella su piazza Municipio dove si trova l’ingresso principale e per finire con quella ad angolo su via Angelo Fraccacreta interrotta oggi dal fabbricato appartenente alla Banca di Roma.  [1] 

La storia del “Palazzo” iniziò verso la fine del 14° secolo quando i monaci dell'ordine di Pietro di Morrone , futuro Papa Celestino V , abbandonarono il monastero di san Giovanni in Piano, posto su una collina tra Apricena e Poggio Imperiale ,non più sicuro ,a causa del suo isolamento [2], e si rifugiarono in San Severo dove possedevano  una chiesa con un ospizio al centro della piazza principale.[3] In circa quattrocento anni , dal 1350 circa, al 1750  il  primo ospizio, con ampliamenti successivi  ha assunto la attuale conformazione architettonica

I beni dei Celestini  derivarono dalle  cospicue donazioni elargite dai primi nobili normanni insediatisi in Capitanata agli inizi dell'anno 1000 [4]. Gli stemmi, tuttora visibili  all’esterno al monastero e all’interno della chiesa, tramandano e testimoniano la singolare origine delle proprietà.[5 ] Fino ai   primi anni dell'800 nella chiesa dei Celestini,  entro la prima decade  di ottobre, si celebrava ancora una messa in memoria del duca normanno Petrone, primo benefattore dell'ordine monastico in san Giovanni in Piano.[6]


Con l'editto di Giuseppe Bonaparte del 13/02/1806 il monastero della SS.ma Trinità fu soppresso. Successivamente, con decreto di Gioacchino Murat del 28/04/1813 il convento e la chiesa annessa furono concessi al Comune di San Severo per usi di pubblica utilità. [7]
Dopo molti anni (nel 1954 con atto del 3 agosto 1951) il Comune di San Severo consegnò alle autorità ecclesiastiche  sia la chiesa   che un lato del porticato dell’antico chiostro adiacente alla chiesa , compreso il vano a pianterreno sotto il campanile, cinque vani al primo piano con la relativa scala di accesso .[
8]

Piazza Municipio
Piazza Municipio dove si trova oggi l'ingresso principale, fu realizzata verso la metà del ‘700 con il nome di largo Trinità [9] dall'abate Giuseppe Maria Turco che acquistò nel 1742 dal clero della chiesa di san Giovanni, da quello di San Severino e da alcuni privati, un gruppo di case, alcune delle quali furono demolite per  la realizzazione dell’ingresso monumentale  sul nuovo prospetto  che, arretrato rispetto alla nuova piazza, consentì  la visione contemporanea dell'antico campanile di San Severino. Grazie all'ottima amministrazione dell'abate Turco,  il monastero dei Celestini di San Severo raggiunse una condizione di tale  floridezza  da poter sostenere alcuni monasteri in difficoltà economiche dislocati in città vicine  tra cui  quello di  Manfredonia, Barletta e Taranto.

Fasi costruttive del palazzo
Esaminando la planimetria del monastero, è possibile ipotizzare almeno due fasi di ampliamento rispetto al nucleo primario corrispondente al chiostro antico  con la chiesa ed il campanile, a cui furono aggregati successivamente nuovi spazi. La prima fase dovette coincidere con la ricostruzione successiva al sisma del 1627 durante la quale il quarto lato del chiostro fu ricostruito  arretrato rispetto alla posizione originaria, realizzando il corpo di fabbrica corrispondente all’attuale sala consiliare. Anche il lato della fabbrica antica verso l’attuale piazza Municipio fu ampliato con cinque portoni a piano terra e cinque balconi al primo piano. La terza fase costruttiva fu la più impegnativa con la costruzione delle cantine , dell’ingresso sulla piazza  e del  secondo ingresso su via Fraccacreta con il retrostante corridoio di poco meno di settanta metri di lunghezza fino all’uscita su via dei Quaranta.  Blocchi di reimpiego con segni di antiche lavorazioni sono presenti e visibili sia nella facciata laterale della chiesa su via dei Quaranta che nelle murature esterne del monastero. Appare , poi, netto l’intento di privilegiare i fronti dell’edificio affaccianti sulle strade di maggiore interesse, trascurando o quantomeno trattandoli in sottotono, quelli sulle strade interne, quasi a evidenziare la ricchezza dei nuovi interventi architettonici rispetto alla “semplicità” di quelli preesistenti. Lo stesso criterio è stato adottato nella costruzione della chiesa dove alla facciata d’ingresso, arricchita da partiture orizzontali e verticali, movimentata dalla presenza di nicchie con statue all’interno, si contrappone la povertà di quella laterale su via dei Quaranta , totalmente piatta fatta eccezione per i finestroni , semplici bucature su una parete in mattoni e blocchi di pietra di riuso, tinteggiati a calce. Unico elemento emergente sulla facciata di via dei Quaranta è il portale con arco a tutto sesto e bugnato in rilievo con stemma nella chiave dell’arco.
Il solo stemma è in grado di raccontare la storia dell’ordine dei Celestini, a partire dalle “pagnotte” dell’eremita Trifone fino alla rinuncia al Papato di Celestino V.
Successivamente, nel ‘700 , l’espansione del monastero avvenne verso Est con l’annessione di fabbriche e spazi di privati cui seguì la realizzazione di nuovi cortili su cui  affacciarono i nuovi dormitori. Purtroppo l’intento progettuale dell’abate Turco di realizzare un grande cortile in continuazione dell’androne d’ingresso rimase interrotto a causa dell’intervento francese del 1799.
Le facciate esterne del palazzo mostrano, nella loro diversità architettonica e stilistica, l’avvicendamento delle diverse fasi costruttive.  Le lesene binate ripartiscono verticalmente le facciate ad angolo su piazza Municipio e piazza della Repubblica  che appartengono, senza dubbio, all’ultimo intervento edilizio promosso dall’abate Turco.
Infatti la scansione verticale contrassegnata dalle lesene appare incongruente con la posizione asimmetrica delle aperture dei balconi , che  con molta probabilità appartenevano  ad un fabbricato già esistente al momento della ricostruzione delle facciate sulla piazza. Il portone d’ingresso su piazza Municipio  è accentuato da due colonne in breccia del Gargano impostate su basamento quadrato , terminanti con capitelli corinzi e timpani spezzati al sommo di questi. Nel timpano di sinistra è rappresentata in bassorilievo la Vergine con il bambino, su quello di destra sono visibili le iniziali di San Giovanni in Piano con l’agnello. Questa facciata, mostra lo stesso stile architettonico di quella su via Angelo Fraccacreta,  anche se questa ultima, priva di  ripartizioni verticali ,è stata costruita in tufo a differenza delle altre realizzate in mattoni  .Questa facciata ed il corridoio a piano terra, coperto con voltine a stella[10 ], hanno  una singolare affinità con la produzione dell’architetto Mauro Manieri di Lecce anche se, da ricerche tuttora in corso , non sono stati rintracciati ancora documenti in grado di testimoniare la presenza di questi nella fabbrica dei Celestini di San Severo. La fase della ricostruzione settecentesca del palazzo è affiancata da una miriade di cantieri, molti dei quali sono contemporaneamente  attivi per realizzare progetti di architetti locali e forestieri per cui non appare azzardata l’ipotesi di possibili contaminazioni, o meglio di “apporti” eccellenti. A due facciate caratterizzate da un barocco di gusto più locale , con balconi sormontati da timpani formati da cornici curvilinee e volute che appaiono sproporzionate e non ben collegate con gli stipiti sottostanti, seguono la facciata d’ingresso e quella su via Angelo Fraccacreta  le cui bucature ,ornate da   timpani quasi più neoclassici che barocchi, appaiono molto più proporzionate ed eleganti delle precedenti. E’ stato fatto anche il nome dell’architetto Astarita, impegnato nella progettazione del monastero di san Lorenzo [  ].


Al primo piano, i grandi  corridoi a croce greca sono sormontati ,nel punto di intersezione, da una luminosissima cupola con otto finestre lateral, realizzate nel tamburo ottagonale ,che è ricoperta all’esterno con “riggiole” policrome. I corridoi che portavano ai vecchi dormitori sono coperti con volte a botte in mattoni alte poco più di sei metri. L’aspetto attuale del palazzo , concepito da un disegno lungimirante ed adeguato ai tempi, rispecchia il principio barocco della sorpresa, dell’imprevedibile: dopo aver percorso la facciata laterale su piazza della Repubblica, piatta e monotona nella scansione di finestre e balconi, si giunge allo slargo di piazza Municipio ( ex Largo Trinità), dove lo spazio si dilata con l’arretramento della facciata d’ingresso per consentire la visione della chiesa di san Severino e del suo campanile. Particolarmente curato è l’angolo tra la facciata d’ingresso e quella su via A. Fraccacreta dove si intensifica il numero di lesene , quasi ad evidenziare l’importanza del passaggio da una facciata all’altra. Il programma ambizioso dell’abate Turco poteva così dirsi completato. Il monastero più grande nel luogo più bello, più centrale  e più alto della città con cortili luminosi e gallerie che mettevano in comunicazione i percorsi religiosi più importanti, una sorta di filtro della fede, fatto e concepito per l’accoglienza, per la frequentazione degli spazi, rendendo solenne anche il suo semplice attraversamento.  A differenza dell’aspetto odierno si può immaginare la sensazione che doveva provocare la visita al monastero appena ultimato: varcato il portone d’ingresso, sullo sfondo, un luminoso giardino con alberi di acacia  era di ristoro alla vista, specie nella calura estiva . Proseguendo oltre la scalinata sulla destra, ci si immetteva in una lunga galleria , coperta con voltine a stella proseguendo la quale si poteva vedere sulla destra il chiostro antico con il porticato mentre alla fine della galleria , sulla sinistra il largo cortile permetteva lo svolgimento delle attività più pratiche del monastero, con la porta carraia verso via Vaglio (l’odierna via dei Quaranta) e le cantine sottostanti.


 Nuove funzioni inserite in palazzo Celestini

 Dopo il 1813 D  Dopo il 1813, i locali del palazzo dei Celestini , ceduti all’Amministrazione Comunale di San Severo, subirono adattamenti continui per accogliere le sempre crescenti funzioni amministrative del Municipio  e, in poco più di un secolo,   l’aspetto originario del monastero, almeno all’interno cambiò per sempre. L’attività degli uffici pubblici , degli archivi e dei locali di rappresentanza occupò esclusivamente buona parte dei locali del primo piano, mentre i locali a piano terra in esubero rispetto alle necessità di spazio dell’epoca ,furono affittati come botteghe di salumieri ed erbivendoli. Già nel 1842 nei locali al pianterreno nell’angolo tra piazza della Repubblica e piazza Municipio, fu impiantato il primo telegrafo di San Severo.
 
In una delibera del 1882 , sindaco Filippo d’Alfonso, i locali a piano terra , ai numeri civici 2 e 3 , unitamente al chiostro e parte della attuale sala consiliare furono affittati ad un circolo privato [ 11] , i locali ad angolo tra piazza Municipio e piazza della Repubblica già occupati dal telegrafo, divennero la sede degli uffici postali fino alla fine degli anni 50 ( nel 1957 sia il circolo che le poste furono trasferiti in altra sede) . In alcune pareti dei locali occupati dal circolo si trovano dei dipinti ad olio su intonaco eseguiti nel 1904 dall’artista locale Michele Colio. [12].
Nel 1882 al primo piano fu costruita , murando un tratto di corridoio , a sinistra dello smonto della scalinata d’accesso, la sala della giunta con soffitti dipinti dal pittore locale Sparavilla , nello stesso anno fu realizzato il torrino dell’orologio, stuccato poi dal sig. Lanzetta per la somma di £.364,25. Sempre nel 1882 , nel mese di marzo, su progetto dell’ing. Domenico Angelitti si realizzò la pavimentazione a lastre calcaree dell’androne di ingresso da piazza Municipio e del cortile principale a questo annesso. [13].
Per motivi logistici e funzionali i summenzionati corridoi furono ulteriormente sezionati per consentire l’uso di parte del complesso monastico  ai militari dell'arma dei Carabinieri che utilizzavano l’ingresso da via dei Quaranta. A piano terra ,l’antica galleria che, dal cortile su via dei Quaranta conduceva al chiostro, fu chiusa murando l’arcata sul  giardino. Lo spazio senza luce che ne risultò fu utilizzato come cella [disegno n. ]. Nel 2010 durante i lavori di restauro del chiostro il muro fu abbattuto ripristinando il vecchio ingresso  verso il giardino.
 In un angolo del vecchio chiostro un puteale in pietra con gli stemmi di Celestino V orna la bocca di un'antica cisterna ,riempita oggi da vecchi documenti gettati lì a metà degli anni 70.  Nel 1937 Il primo piano del palazzo viene adibito ad uffici con sportelli aperti al pubblico. Quasi tutte le porte del primo corridoio a destra della scala d’accesso e qualcuna del secondo vengono trasformate in arconi con sottostante bancone , completate dalla vetrata su struttura in profilato di ferro. Nello stesso anno, la facciata su piazza della repubblica viene rinforzata mediante la costruzione di un muro a leggera scarpa di tufi e mattoni a filari alternati , intonacati e dipinti.



Uno spazio barocco

Un accurato rilievo dei locali a piano terra di palazzo Celestini ha evidenziato la presenza di un asse di collegamento , un corridoio coperto con volte , una sorta di passeggiata delle meraviglie che univa visivamente il sagrato della chiesa di San Severino con via Soccorso. Questo   era possibile perché il piano terra del palazzo del Seminario ,tra via Soccorso e via dei Quaranta (anticamente vico Vaglio) ,era attraversato da una galleria passante posta lateralmente all’androne d’ingresso su via Soccorso.
Prima dell’ampliamento settecentesco, il vecchio ingresso del convento dei Celestini si trovava su via dei Quaranta. Nel cortile utilizzato fino a qualche anno fa dalla stazione locale dei carabinieri si trovavano le cucine ed il refettorio dei monaci.[14] Dall’ingresso su via dei Quaranta , proseguendo a sinistra ,si entrava nel giardino . In asse con la galleria d’ingresso  è tuttora presente la cisterna con le iniziali di san Giovanni in Piano. L’intervento settecentesco dell’abate G.M. Turco andò ben oltre la  realizzazione della nuova facciata d’ingresso, razionalizzando l’espansione del monastero e assicurando dei  collegamenti efficaci e spettacolari tra  le nuove fabbriche e quelle esistenti .Fu realizzato un corridoio rettilineo,coperto da dieci volte a stella per una lunghezza di circa m.62.50  ,che dall’ingresso a sud su via dei Quaranta si estende fino  al sagrato della chiesa di san Severino, con un portale simile a quello più antico, ma decorato da bugne in pietra con una varietà di   toni dal giallo al rosato, con l’uso sporadico di qualche breccia. Le voltine, a copertura del corridoio, sono del tipo a crociera a stella con al centro un incasso nella muratura . Questo tipo di volta si ritrova frequentemente nel barocco leccese, ma è unico dalle nostre parti.  Questo asse che un tempo univa i due cortili con la vista dell’antico chiostro oggi non è più percorribile nella sua interezza perché , oltre che ad essere stato frazionato in più proprietà, quella comunale è stata a sua volta suddivisa in tanti ambienti di servizio facendo perdere  per sempre la percezione dello spazio unitario e della prospettiva della sequenza delle dieci campate. Tutta l’architettura del monastero fu plasmata a misura della personalità dirompente dell’abate Turco. A partire dall’ingresso trionfale, agli spazi di rappresentanza , ai corridoi che si incrociano al primo piano, tutto fu concepito per dare il senso di grandiosità , di luce. Persino la parte inferiore delle soglie dei balconi fu concepita per essere guardata dal basso: si possono notare in bassorilievo le immagine del sole, luna e stelle. Al piano terra si incrociavano corridoi che attraversavano cortili e giardini con effetti sorprendenti di luci ed ombre, con volte talmente alte che potevano essere agevolmente attraversate anche da carrozze. Il senso di lusso e potenza era ostentato in una sorta di spettacolarizzazione  degli spazi e delle strutture, ben  lontani  dal primo ospizio dell’eremita Trifone e del successivo e severo monastero di San Giovanni in Piano.

Pareti esterne del cortile con il chiostro
Il cortile su cui un tempo si aprivano le arcate del chiostro è di forma quadrangolare. Su tre lati , anche se parzialmente murati ,sono ancora visibili gli arconi in muratura con i tiranti di ferro.  Verso la sala consigliare non sappiamo bene se  per passati interventi murari o per eventi sismici sono scomparse del tutto le campate del chiostro sostituite dalla  attuale parete con muri di sostegno. Riportiamo dal  manoscritto di Antonio Lucchino (Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di San Severo e terre convicine) :”Del monistero de' Celestini caddero tutti i dormitori , e quello del Noviziato da' fondamenti, e della chiesa la tribuna, che con la sua rovina fracassò l'organo che vi era dentro.”Le pareti del primo piano conservano ancora le tracce di antiche lesene che iniziavano dall'incrocio degli archi e si sviluppavano in altezza fino al coronamento. Due arcate risultano inglobate in un muro di sostegno nella parete verso l'ufficio dei lavori pubblici. Dai pochi documenti che è stato possibile reperire risulta che alcuni lavori furono eseguiti verso il 1937, come il muro di rinforzo su via della Repubblica e la apertura degli sportelli al pubblico al primo piano. A questo stesso periodo possono risalire i  finestroni al primo piano in corrispondenza della sala consiliare. Le lesene che ripartivano verticalmente le pareti del chiostro limitatamente al primo piano,  furono scalpellate insieme ai capitelli ionici terminali ( simili per sagoma a quelli presenti sui fianche del campanile di san Severino), in modo da ottenere pareti lisce e integre, in sintonia con l’architettura razionalista del ventennio. Le pareti risultavano  intonacate a calce , mentre i pilastri del porticato, in mattoni, presentavano ancora tracce di pittura  colore giallo ocra. Il coronamento superiore è formato da conci di pietra calcarea disposti a filari sovrapposti con vari ordini di cornici. Due contrafforti in mattoni pieni, a rinforzo della parete esterna della sala consiliare furono realizzati nei primi anni degli anni 60, mentre il WC pensile fu costruito agli inizi degli anni 70.
Dalle Cronache di A. Lucchino si riporta:…Il claustro è ornato di pergolate le cui viti producono l’uva tre volte l’anno, e vi è un bellissimo piede ( albero) di merangoli. Sta situato nel più bel luogo della città, in mezzo della piazza a man destra…Strano a dirsi, due alberi di arance amare (i merangoli appunto) fanno ancora bella mostra di sé verso il tratto di chiostro annesso alla chiesa. Lungo la parete della sala consiliare si sviluppano in altezza tre palmette dal fusto esile una quarta è situata nell’angolo sud est.


Considerazioni a margine di un cantiere  di restauro del 2010
I lavori di restauro del 2010, limitati alla restituzione  del chiostro e di due lati del porticato che su questo si affacciavano, hanno consentito il rinvenimento di elementi murari non eclatanti considerati nella loro singolarità, ma che si sono rivelati utili in una visione globale per  una migliore   comprensione dell’evoluzione storica del monastero. Le arcate superstiti del chiostro a piano terra sono state liberate sia dai tramezzi che dalle vetrate che le nascondevano da circa un secolo. Il quarto lato del chiostro, crollato dopo il sisma del 1627 , è stato “ricordato” riproponendone l’orma al suolo, inserendo nella nuova  pavimentazione  le “riggiole” in cotto locale di formato quadrato di cm.23,6 per lato (corrispondente a un palmo napoletano) che , prima dei lavori, formavano la  bordura delle aiuole. Seguendo le prescrizioni imposte al progetto di restauro dalla Soprintendenza ai monumenti di Bari, sono state conservate le superfici murarie senza cancellare gli interventi che su di esse  si erano avvicendate nel corso degli anni, compresa la demolizione  delle lesene del primo piano ancora visibili in qualche foto d’epoca, in modo da rendere leggibili le diverse fasi architettoniche. E’ stato così possibile accertare che il primo piano consisteva in un deambulatorio coperto con una tettoia poggiante su pilastri in mattoni costruiti in asse con quelli sottostanti; in una seconda fase sono stati costruiti, tra i pilastri, degli archi a sesto ribassato , una sorta di secondo porticato , le cui arcate furono successivamente chiuse in muratura per ricavare più vani utili. Infatti la realizzazione di alcune finestre sul cortile è avvenuta tagliando parte degli archi a sesto ribassato.
Per consentire una migliore fruizione degli spazi tutti i cavi elettrici che correvano sulle pareti esterne in apposite cabalette di plastica, durante i lavori di restauro (2010),  sono stati spostati in una rete di cavidotti realizzati all’interno del vespaio della pavimentazione mentre le unità esterne dei condizionatori della sala consiliare sono stati concentrati in una nicchia nella muratura . Anche il WC pensile ( costruito negli anni 70 al primo piano – foto   ) è stato demolito insieme alle tompagnature di forati costruite all’interno degli arconi.
Le operazioni di stonacatura delle pareti del chiostro hanno rivelato l’esistenza di innesti di volte molto più basse di quelle esistenti , in accordo con quello che doveva essere il monastero nella seconda metà del 300, secondo le descrizioni degli storici: un ospizio, una chiesetta ed una torre, detta della “gramigna”.
La torre suddetta, tutta in mattoni, con le tracce delle vecchie finestre, oggi murate,  è ancora visibile a chi si avventuri sui tetti e sui terrazzini a copertura del primo piano. Alla base della torre , rivestita in pietra e trasformata in campanile tra gli anni 1719 -1720 si trova la scala che dal piano terra porta ai locali al primo piano restituiti dal Comune alla chiesa negli anni 50.
All’interno del portico, sulle pareti ,alcune tracce impercettibili di intonaco colorato  ocra arancio   ricordavano per fattura e per colorazione dei frammenti di muratura affiorati nelle pareti del sottotetto durante i lavori di manutenzione straordinaria alle coperture nel 1984. Quei frammenti di intonaco decorato riportati alla luce insieme a blocchi di pietra con iscrizioni fanno oggi pensare ad una ricostruzione contemporanea della chiesa e del monastero, probabilmente dopo il sisma distruttivo del 1627. Alcuni blocchi di pietra leggermente arcuati, con incisioni a dentelli, si trovano infatti sia sulla facciata laterale della chiesa che nelle murature del primo piano dalla parte del sottotetto a riprova di un cantiere di grosse proporzioni con il riutilizzo del materiale di risulta. Anche il portale della chiesa , in una pietra particolare detta verde di Roseto, simile alla pietra serena, ha il suo gemello appunto a Roseto Valfortore.
Le voltine  del chiostro attuale furono ricostruite a sezioni (si notano le ammorsature della ripresa) riutilizzando i mattoni delle volte più antiche , più basse di quelle attuali.
 Durante la rimozione del piano di calpestio degli uffici è stato rinvenuto  un brano di pavimento( circa nove metri quadri) di mattonelle di cemento colorato di fine 800.(foto) Le mattonelle sono state restaurate e ricollocate nella stessa zona in cui si trovavano, portandole però allo stesso livello del nuovo pavimento di cotto chiaro. L’abbattimento del diaframma murario che separava il cortile dalla cella della stazione dei carabinieri ha consentito il ritrovamento, poco sotto il terreno, di una botola chiusa con mattoni disposti a foglio, sotto i quali , dopo aver eliminato il terreno che la riempiva, è stato possibile scendere in una piccola galleria , larga poco più di un metro, coperta con una volta a botte a tutto sesto orientata nella direzione della cripta   scoperta, durante i lavori del 1986,   sotto il presbiterio della chiesa , oggi visibile attraverso una botola nei pressi del monumento funerario dell’abate Turco. Potrebbe trattarsi dell’antico passaggio ( oggi murato, in corrispondenza della finestra soprastante appartenente alla sagrestia) che, dall’angolo del chiostro, passando sotto la scala d’accesso ai dormitori al primo piano, consentiva di scendere o nella cripta con gli scranni in pietra e mattoni ( già dotata di scala d’accesso in muratura ), o addirittura, in qualche altro ipogeo di cui un testimone  oculare all’epoca dei lavori succitati, faceva  menzione , meravigliandosi della presenza di due statue a forma di guerriero poste a guardia di una porta che , a suo dire, pareva l’ingresso di una tomba. Purtroppo una colata di cemento ordinata dal parroco al tempo dei lavori ha trasformato in leggenda la preziosa testimonianza.  Sia per la conformazione , che per i mattoni usati , questo passaggio è quasi identico a quello   della cripta sotto la chiesa della pietà.  

Grazie poi alla cortesia dei proprietari è stato possibile visitare le cantine sottostanti palazzo Celestini ed è singolare che queste appartengano ad altri . Le cantine costruite ex novo insieme alla nuova ala del monastero si trovano sotto l’androne di ingresso, i locali ad  angolo fino al corridoio galleria con portale bugnato , oggi proprietà del Banco di Roma, un tempo ingresso alle cantine D’Alfonso. Le volte a crociera di questo angolo sono poderose, e si impostano su larghi plinti di fondazione a pianta quadrata. La scalinata d’accesso alla cantina D’Alfonso fu realizzata probabilmente alla fine dell’800, demolendo una volta a crociera corrispondente. Infatti nelle delibere comunali di fine 800 si trovano delle voci relative all’acquisto di foraggio per i cavalli e del suo stivaggio nelle cantine sottostanti, pertanto , all’epoca delle delibere suddette, tutte le cantine dovevano essere ancora di proprietà comunale.


NOTE:
[1] Matteo Fraccacreta, sindaco nel 1810, descrive minuziosamente, nella decima Rapsodia del Teatro Topografico della Capitanata , la destinazione  degli ambienti   al momento dell’esproprio. ..”se non seguirebbero un sottano col soprano, e la cantina col soprano di D. Prospero Fania nell’angolo est, sarebbe una grand’isola  questo bel Monastero, non invidierebbe quelli di Lecce e Napoli.”  L’angolo di proprietà del sig. Prospero Fania corrisponde oggi al fabbricato del Banco di Roma.

[2]  Nel 1300 l’Episcopio di Lucera rivendica i propri diritti sul monastero di S. Giovanni in Piano.
Questa disputa è riportata in un documento del 15 ottobre 1300 dato a città di s. Maria
In tale documento il procuratore di s. Spirito a Sulmona chiede alla sede apostolica di intervenire contro AIMARDO, vescovo di Lucera.
Nel 1330 circa un episodio di violenza perpetrato ai danni di due monaci del monastero (Fra Gentile e frate Guglielmo furono uccisi da un certo Nicola, nipote del vescovo di Lucera) , le continue angherie da parte della nobiltà di Lesina ed alcune invasioni turche convinsero i monaci di San Giovanni in Piano a trasferirsi a San Severo in alcuni locali di proprietà nel mezzo della pubblica piazza dove nel 1375 era stata costruita una piccola chiesa.
Il primo complesso era costituito dalla chiesa, dal chiostro e dai dormitori al primo piano affacciati su quest’ultimo.   

[3] dalle CRONACHE di A. Lucchino :”..il claustro è ornato di pergolate le cui viti producono l’uva tre volte l’anno, e vi è un bellissimo piede di merangoli (albero di arance amare n.d.r.). Sta situato nel più bel luogo della città, in mezzo della piazza a man destra..” Nella descrizione di San Severo fatta dal  Lucchino il primo monastero dei Celestini si trovava quasi al centro del percorso che univa il palazzo del principe ( ad angolo tra via Mercantile e via Colonna), alla chiesa di san Severino.
Recenti lavori di restauro (2010) hanno evidenziato che il livello del terreno al centro del chiostro era di poco superiore di quello dello slargo su via dei Quaranta (ex via Vaglio), mentre il dislivello attuale rispetto a piazza della Repubblica risultava di circa 90 centimetri. Il primo ingresso del monastero doveva trovarsi con molta probabilità verso lo spiazzo su via dei Quaranta .

[4] nella prima metà dell’anno 1000 il conte di Lesina Petrone, riconoscente per l’ospitalità prodigata dall’eremita Trifone, fece costruire presso l’eremo di questo ultimo una piccola chiesa ,   richiedendo che l’episodio dell’ospitalità e del dono dei due pani fosse riportato visivamente su tutti i lasciti. Successivamente Petrone fece dono alla nascente comunità benedettina di molti possedimenti e curò la costruzione del primo monastero (san Giovanni in Piano)  inaugurato da lui stesso nel 1088. Il convento fu affidato dal conte a frate Ainardo. I beni donati al monastero da Petrone furono riconfermati dal nipote Goffredo, anche lui conte di Lesina e, successivamente, nel 1221 da Federico II.

[5] da A. Lucchino –Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di San Severo e terre convicine: :”Del monistero de' Celestini caddero tutti i dormitori , e quello del Noviziato da' fondamenti, e della chiesa la tribuna, che con la sua rovina fracassò l'organo che vi era dentro.” Il dormitorio dei novizi corrispondeva quindi, al quarto lato del chiostro che non fu più ricostruito. Sulla muratura sono ancora visibili le tracce delle arcate mancanti e le bucature delle porte.


[6] Sull’angolo della facciata su piazza della Repubblica, oggi coperta a piano terra da un contrafforte in muratura, si trovava una lapide su cui si leggeva che nel 1742  l’abate G.M. Turco aveva realizzato il nuovo disegno della facciata d’ingresso. L’attività edilizia dell’abate è testimoniata da Matteo Fraccacreta a partire dal 1719 con l’edificazione del nuovo campanile  fino al 1742.
[7] dal Fraccacreta op.cit. 10^ rapsodia: “nella 1^ facciata sulla gran Piazza sonvi 7 botteghe di fogliami, e salumi da fittarsi meglio per altre merci non lorde, e da prolungarsi dietro in quei portici, che circondano quel 1° chiostro.” Le “botteghe “ oggi sono 6 in quanto le due centrali furono accorpate per realizzare il salone della ragioneria. “Sono nella 2^ Nord-Est 4 botteghe con le porte in quello spiazzo; ai fianchi del gran portone nella 3^ due lustriere ovali, una del sottano del portinaio sotto la gradinata (oggi locale occupato dall’impianto di riscaldamento -nota dello scrivente), l’altra del sottano sotto la Cancelleria Comunale (oggi sala del Sindaco -nota dello scrivente), colla porta verso san Severino , come il seguente sotto la sala Decurionale. Segue la gran cantina con …botti anche di cannate…Nel Vico Formile sonvi tre sottani : quell’antica cucina e e la porta dell’altra cantina sono verso quella piazzetta. Non si conosce la data dell’acquisto della gran cantina da parte della famiglia D’Alfonso , avvenuta senz’altro dopo il 1843 (anno in cui fu data alle stampe l’opera del Fraccacreta). Di proprietà comunale rimane oggi la cantina di circa 120 mq. ad angolo tra vico Mustacci e via dei Quaranta, con finestre di areazione nell’ex cortile dei Carabinieri, sotto il quale si trova una cantina di privati , probabilmente la più antica, con la scala di accesso da via dei Quaranta. Alla fine della scalinata un grosso vano ,coperto con volta a botte corrispondente al cortile soprastante, è occupato da vasche vinarie disposte su due lati con corridoio centrale alla fine del quale, in alto si trova un lucernario da dove, secondo quanto accennato , venivano un tempo calate le balle di fieno per i cavalli. Dopo il lucernario il percorso prosegue in un ambiente terminale areato a sinistra  da un’apertura ad arco con grata che si affaccia sull’antica cantina di D’Alfonso, oggi di proprietà del Banco di Roma, mentre sulla destra , in direzione di vico Mustacci si trova un muro di antica fattura formato da blocchi di pietra irregolare, simile per tessitura alla facciata della chiesa di san Nicola su via A. Fraccacreta.    
[8]Quattro dipinti di Michele Colio, datati nel 1902  sono presenti al piano terra : due si trovano nel locale con accesso da piazza Municipio che ai primi del ‘900 fu affittato, insieme a buona parte del piano terra, al circolo Unione , con l’impegno da parte di questo, di provvedere a tutti gli ammodernamenti e le riparazioni necessarie. I dipinti, olio su intonaco rappresentano la vendemmia e la mietitura, e si fronteggiano sulle pareti di un locale adiacente all’ingresso. Altri due rappresentanti una marina con scogli e pescatori in primo piano e una veduta con lago furono realizzati sempre da Michele Colio,  ad olio su intonaco, su due pareti della sala consiliare, un tempo sala da ballo del circolo suddetto. Le altre salette del circolo erano state ricavate alla fine dell’800 chiudendo con vetrate le campate del chiostro del lato parallelo a piazza della Repubblica. Nel 1948 su progetto dell’ing. Celozzi, alcuni locali a piano terra tra cui quello con i dipinti a tema agricolo furono trasformati in farmacia comunale.
Nella scalinata principale, su  una piattaforma rialzata, attorno alla quale si sviluppano le rampe di scale per l’accesso al primo piano è collocata una statua in gesso patinato dello scultore Luigi Schingo , rappresentante un atleta impegnato nel lancio della palla.
[13]  Matteo Fraccacreta op.cit. rapsodia 10^: “Quel portone lapideo di p… per …fra due colonne intarsiate di marmo cipollino, alte… grosse…dà l’ingresso all’atrio di…per…sino al cancello murato prima del 1811, che lo divide da quel restante orto con più alberi di acacia.” L’orto più volte menzionato nella descrizione dei locali al primo piano che vi si affacciavano, nel progetto dell’abate Turco avrebbe avuto le dimensioni di m.19.26 x 15.22 di profondità. Infatti, nel locale a sinistra appena si passa nel cortile, nell’angolo sono presenti delle cornici identiche a quelle dei restanti angoli all’aperto. Il programma era quindi quello di realizzare un giardino che facesse da sfondo all’androne di ingresso , secondo l’uso dell’epoca in cui giardini segreti si svelavano allo sguardo del visitatore non appena varcava la soglia d’ingresso. Un angolo del fabbricato di proprietà Fania tra via A. Fraccacreta e vico Mustacchi si estendeva verso l’orto fino al 1818 in cui il pezzo di terreno intercluso fu acquistato dal Fania per rendere più comoda la sua abitazione, costruendo un piano terra ed un primo piano arretrato per lasciare un terrazzino orientato a sud ovest. Questi locali sono oggi di proprietà comunale e sulle pareti interne, sia al piano terra che al primo piano, sono ancora visibili le vecchie aperture oggi murate di palazzo Fania.




                                                                




 





  

martedì 23 aprile 2013

Idee di carta

Idee rimaste sulla carta, trascurate perchè ritenute ovvie o troppo dirompenti , spesso fastidiose perchè d'intralcio a programmi precostituiti.
Una per tutte
La trasformazione dell'ex convento di san Sebastiano in biblioteca.
Il luogo era l'ideale :di proprietà del Comune ,ossia appartenente a tutta la popolazione, locali a piano terra quindi senza barriere architettoniche, con doppia uscita , dotato di spazi aperti con la possibilità di organizzare eventi all'esterno , oltre che creare ex novo dei contenitori adatti alla conservazione e all'archiviazione del materiale librario.
Troppo semplice, troppo a portata di mano. Infatti alle prime avvisaglie delle potenzialità racchiuse in questo sito dalla chiesa adiacente fu sfondato un muro , annettendo i locali di quella che fu una volta la vecchia scuola media Palmieri.
Tutto con la passiva complicità del Comune.
E cosi, quella che poteva essere una idea perseguibile , per la sua semplicità, è svanita.
Per molti il concetto di biblioteca è semplice, quattro scaffali pieni di libri ed il tavolo al centro.Le cose sono ben diverse in quanto la conservazione dei volumi comporta l'adozione di metodiche costruttive ben precise. I libri pesano e bruciano facilmente. Occorre tenere presente queste particolarità nel dimensionamento delle strutture e dell'involucro del deposito. 
La biblioteca deve essere caratterizzata da un'ampia flessibilità funzionale. La sala lettura caratterizzata da luce mediata dal portico verso lo spazio aperto e da luce dall'alto avrebbe offerto le condizioni migliori per la lettura , prestandosi anche a funzionare come sala conferenze.
Il monastero (corpo A) da restaurare avrebbe restituito la memoria del luogo, con servizi, direzione e salette riservate per la consultazione di edizioni riservate e per riunioni. Infine lo spazio aperto  su cui affacciavano il corpo antico, la sala lettura e l'archivio si prestava all'esecuzione di spettacoli all'aperto , il tutto in piena sicurezza per la presenza di vie di esodo verso le pubbliche vie.



 Planimetria del lotto: convento costituito da piano terra e primo piano con cortiletto interno, alle spalle uno spiazzo parzialmente occupato da baracche . Ingresso del convento da via F. D'Alfonso, ingresso dello spazio aperto da via Roseti.

 L'idea era di restaurare i due piani del convento per reception e uffici (corpo A) di mq.770 , nello spazio aperto invece avrebbe trovato posto (corpo B) una grande sala (mq.120) per la lettura , al piano superiore di questa una galleria per la comunicazione dinamica tra uffici e il volume di quattro piani (corpo C) di cui uno interrato per gli impianti e i tre fuori terra per archivio e deposito materiale librario (mq. 950). La copertura del corpo B sarebbe stata predisposta per l'istallazione di pannelli fotovoltaici. La suddivisione netta dei tre corpi risponde a criteri di sicurezza in caso di incendio.Il particolare il volume contenitore , per rispondere ai criteri costruttivi imposti dall'uso dei gas inerti in caso di incendio sarebbe stato dotato di infissi a tenuta ermetica e di impianti per garantire il microclima ideale per la conservazione di edizioni pregiate e antiche.



L'idea della biblioteca  è rimasta , ovviamente, sulla carta . Però qualcosa si è mosso subito dopo la presentazione simbolica del progetto al sindaco Savino (riportata su L'ATTACCO del 7 ottobre 2009). La diocesi, con metodi già sperimentati nel passato, ha sfondato la parete a sinistra della chiesa e ha occupato un vecchia aula abbandonata, chiamandola "la camera del dolore" , in quanto accoglie i parenti per l'ultimo saluto ai defunti. 
Mi chiedo solo se l'apertura nel muro portante sia stata praticata seguendo la prassi consueta e cioè: progetto al Comune, parere della Soprintendenza ai Monumenti ( le chiese più vecchie di 50 anni vanno automaticamente in autotutela ), nulla osta del Genio Civile ai calcoli statici.. E poi, il convento di san Sebastiano, non era di proprietà del Comune e quindi di tutti?. Non sarà il caso di fare chiarezza sulla sua effettiva appartenenza, vista la grandezza della superficie dell'antico complesso monastico, compreso lo spazio aperto inedificato,  e delle sue potenzialità edificatorie?

7ottobre 2009 L'ATTACCO





La Piazzetta coperta

Opera giovanile dell'ing. Aldo Gervasio, fu edificata a metà degli anni 30 sull'area dell'antico sagrato della chiesa di san Giovanni Battista. Anche in questo caso fu lanciata un'idea provocatoria Il progetto avrebbe dovuto chiamarsi "PIAZZA PULITA" poichè prevedeva l'eliminazione in toto del manufatto e la restituzione dell'antica piazza . Poi, con un'atto coraggiosissimo da parte della chiesa, si sarebbe potuto ripristinare il vecchio ingresso della chiesa verso ovest, dove era ubicato dalle origini fino al 1744, anno in cui fu spostato su via santa Lucia per motivi di comodità. In pratica, il sagrato di una chiesa attestata sin dal 1020 circa, dopo poco più di 700 anni fu abbandonato perchè l'ingresso antico affacciava sui ruderi del castello e su quello che rimaneva del fossato. E così, "per comodità" l'ingresso spostato su di una stradina stretta come è via santa Lucia è stato da 270 anni fonte di disagio per tutti quei riti che comportavano la presenza di folla davanti alla chiesa. Le scelte urbanistiche , per le loro ricadute sulla collettività, devono essere ponderate , proiettate nel futuro e mai dettate da sistuazioni contingenti o, peggio, per fare un favore a qualcuno.



Una soluzione alternativa alla "piazza pulita" poteva essere il tagliodel capannone posteriore , in modo da restituire la dimensione di una piazza anche se di formato ridotto. La parte interrata poteva essere allargata in modo da rendere visibile il fossato, l'esterno del castello e di parte del vecchio ingresso della chiesa di san Giovanni, compreso il sotterraneo sotto di questo.

martedì 26 febbraio 2013

Palazzo Celestini a San Severo

Particolare del balcone su via A. Fraccacreta

Facciata di palazzo Celestini su via A. Fraccacreta


voltina a stella nell'androne di palazzo Celestini


portale d'ingresso alla scala di palazzo Celestini






galleria , oggi interrotta da tramezzi, di palazzo Celestini







Fregio con conchiglia sopra una porta laterale dell'androne di palazzo Celestini

voltina sul pianerottolo dello scalone di palazzo Celestini




Dettaglio dell'angolo tra via A. Fraccacreta e piazza Municipio

soglia del balcone su via A. Fraccacreta

particolare della base del balcone su via A. Fraccacreta

venerdì 11 gennaio 2013

centro storico


 Vico Granata da piazza della Repubblica

 Case basse in via Santa Maria

 il campanile di san Severino

 Case basse in via Santa Maria
case basse in via Sergio Fagnano

Particolare di un finestrino in via  Sergio Fagnano

casa bassa in via Sergio Fagnano

Case basse in via Sergio Fagnano, vista verso ovest
Via Sergio Fagnano, particolare del comignolo

via Morelli e Silvati

 case basse in vico s.Benedetto

 un piccolo giardino segreto tra vico s. Benedetto e via s. Giuseppe

un'insolita testa di cavallo sporge dalla facciata di una casa di via Mercato

 Inizio di vico Granata da Piazza della Repubblica, da notare i cantonali in pietra presenti solo nelle fabbriche che affacciano in questa piazza.

 Case basse in vico Cicorielle

 Case basse in vico Seminario

 bassorilievo alla base del campanile di s. Giovanni, uno simile nella zoccolatura della facciata della chiesa dei Celestini è stato scalpellato agli inizi degli anni 60. Resta solo la sporgenza dalla pietra.

vico Mazzilli

 Case basse in via Santa Maria
 Base di torchio usata come fondazione in via Borgo Casale

 (foto dell'archivio L. Biccari) casa a due piani su via A Fraccacreta prima della costruzione del Banco di Roma

  (foto dell'archivio L. Biccari) casa a due piani su via A Fraccacreta prima della costruzione del Banco di Roma

 frammento di breccia corallina raccolta in località s. Lucia sulla strada tra Apricena e s. Marco

brocchette da vino , rinvenute in un pozzo di una vecchia fornace nei pressi di via E. DE Troia. Sono degli scarti di produzione mai sottoposti a cottura perchè crepati o deformati.

Corridoio interno in palazzo Celestini verso via dei Quaranta

Corridoio interno in palazzo Celestini dalla parte opposta a via dei Quaranta