Palazzo Celestini a San Severo (Fg)
architettura e arte
Breve storia del Monastero
Subito dopo il terremoto del 1731, non meno disastroso di
quello del 1627, per San Severo iniziò un periodo di particolare sviluppo
economico ed edilizio. In stile barocco
furono edificati sia i palazzi della nuova borghesia che le chiese e i
monasteri. Questi ultimi , discostandosi dalla usuale sobrietà che normalmente attiene all’architettura
monastica, entrarono
in competizione con l'edilizia borghese
sia per l'ostentazione dei materiali che
per la ricchezza dell'apparato decorativo.
Primeggia tra gli altri Palazzo Celestini che ,compresa la superficie
della chiesa occupa oggi quasi un intero isolato di circa 3.500 mq., in pianta
a forma di L , con tre cortili all’interno, il cui volume si erge con due piani
fuori terra per un’altezza di circa dieci metri oltre le cantine . Le sue facciate , delle
vere e proprie quinte urbane, risultano determinanti per la qualità degli spazi
urbani su cui prospettano, come quella su piazza della Repubblica in
prosecuzione della chiesa omonima e dell’annesso campanile, per continuare con
quella su piazza Municipio dove si trova l’ingresso principale e per finire con
quella ad angolo su via Angelo Fraccacreta interrotta oggi dal fabbricato
appartenente alla Banca di Roma.
[1]
La storia del “Palazzo” iniziò verso la fine del 14°
secolo quando i monaci dell'ordine di Pietro di Morrone , futuro Papa Celestino
V , abbandonarono il monastero di san Giovanni in Piano, posto su una collina
tra Apricena e Poggio Imperiale ,non più sicuro ,a causa del suo isolamento [2],
e si rifugiarono in San Severo dove possedevano una chiesa con un ospizio al centro della
piazza principale.[3] In circa quattrocento anni , dal 1350 circa, al 1750 il
primo ospizio, con ampliamenti successivi ha assunto la attuale conformazione
architettonica
I beni dei Celestini derivarono dalle cospicue donazioni elargite dai primi nobili
normanni insediatisi in Capitanata agli inizi dell'anno 1000 [4]. Gli stemmi, tuttora
visibili all’esterno al monastero e
all’interno della chiesa, tramandano e testimoniano la singolare origine delle
proprietà.[5 ] Fino ai primi anni dell'800 nella chiesa dei Celestini,
entro la prima decade di ottobre, si celebrava ancora una messa in
memoria del duca normanno Petrone, primo benefattore dell'ordine monastico in
san Giovanni in Piano.[6]
Con l'editto di Giuseppe Bonaparte del 13/02/1806
il monastero della SS.ma Trinità fu soppresso. Successivamente, con decreto di Gioacchino
Murat del 28/04/1813 il convento e la chiesa annessa furono concessi al
Comune di San Severo per usi di pubblica utilità. [7]
Dopo molti anni (nel 1954 con atto del 3 agosto 1951) il
Comune di San Severo consegnò alle autorità ecclesiastiche sia la chiesa che un lato del porticato dell’antico
chiostro adiacente alla chiesa , compreso il vano a pianterreno sotto il
campanile, cinque vani al primo piano con la relativa scala di accesso .[
8]
Piazza Municipio
Piazza Municipio dove si trova oggi l'ingresso
principale, fu realizzata verso la metà del ‘700 con il nome di largo Trinità [9]
dall'abate Giuseppe Maria Turco che acquistò nel 1742 dal clero della chiesa di
san Giovanni, da quello di San Severino e da alcuni privati, un gruppo di case,
alcune delle quali furono demolite per
la realizzazione dell’ingresso monumentale sul nuovo prospetto che, arretrato rispetto alla nuova piazza,
consentì la visione contemporanea dell'antico
campanile di San Severino. Grazie all'ottima amministrazione dell'abate
Turco, il monastero dei Celestini di San
Severo raggiunse una condizione di tale
floridezza da poter sostenere
alcuni monasteri in difficoltà economiche dislocati in città vicine tra cui
quello di Manfredonia, Barletta e
Taranto.
Fasi costruttive del palazzo
Esaminando la planimetria del monastero, è possibile
ipotizzare almeno due fasi di ampliamento rispetto al nucleo primario
corrispondente al chiostro antico con la
chiesa ed il campanile, a cui furono aggregati successivamente nuovi spazi. La
prima fase dovette coincidere con la ricostruzione successiva al sisma del 1627
durante la quale il quarto lato del chiostro fu ricostruito arretrato rispetto alla posizione originaria,
realizzando il corpo di fabbrica corrispondente all’attuale sala consiliare.
Anche il lato della fabbrica antica verso l’attuale piazza Municipio fu
ampliato con cinque portoni a piano terra e cinque balconi al primo piano. La
terza fase costruttiva fu la più impegnativa con la costruzione delle cantine ,
dell’ingresso sulla piazza e del secondo ingresso su via Fraccacreta con il
retrostante corridoio di poco meno di settanta metri di lunghezza fino
all’uscita su via dei Quaranta. Blocchi
di reimpiego con segni di antiche lavorazioni sono presenti e visibili sia nella
facciata laterale della chiesa su via dei Quaranta che nelle murature esterne
del monastero. Appare , poi, netto l’intento di privilegiare i fronti
dell’edificio affaccianti sulle strade di maggiore interesse, trascurando o
quantomeno trattandoli in sottotono, quelli sulle strade interne, quasi a
evidenziare la ricchezza dei nuovi interventi architettonici rispetto alla
“semplicità” di quelli preesistenti. Lo stesso criterio è stato adottato nella
costruzione della chiesa dove alla facciata d’ingresso, arricchita da partiture
orizzontali e verticali, movimentata dalla presenza di nicchie con statue
all’interno, si contrappone la povertà di quella laterale su via dei Quaranta ,
totalmente piatta fatta eccezione per i finestroni , semplici bucature su una parete
in mattoni e blocchi di pietra di riuso, tinteggiati a calce. Unico elemento
emergente sulla facciata di via dei Quaranta è il portale con arco a tutto
sesto e bugnato in rilievo con stemma nella chiave dell’arco.
Il solo stemma è in grado di raccontare la storia
dell’ordine dei Celestini, a partire dalle “pagnotte” dell’eremita Trifone fino
alla rinuncia al Papato di Celestino V.
Successivamente, nel ‘700 , l’espansione del monastero
avvenne verso Est con l’annessione di fabbriche e spazi di privati cui seguì la
realizzazione di nuovi cortili su cui affacciarono
i nuovi dormitori. Purtroppo l’intento progettuale dell’abate Turco di
realizzare un grande cortile in continuazione dell’androne d’ingresso rimase
interrotto a causa dell’intervento francese del 1799.
Le facciate esterne del palazzo mostrano, nella loro
diversità architettonica e stilistica, l’avvicendamento delle diverse fasi
costruttive. Le lesene binate
ripartiscono verticalmente le facciate ad angolo su piazza Municipio e piazza
della Repubblica che appartengono, senza
dubbio, all’ultimo intervento edilizio promosso dall’abate Turco.
Infatti la scansione verticale contrassegnata dalle
lesene appare incongruente con la posizione asimmetrica delle aperture dei
balconi , che con molta probabilità
appartenevano ad un fabbricato già
esistente al momento della ricostruzione delle facciate sulla piazza. Il
portone d’ingresso su piazza Municipio è
accentuato da due colonne in breccia del Gargano impostate su basamento
quadrato , terminanti con capitelli corinzi e timpani spezzati al sommo di
questi. Nel timpano di sinistra è rappresentata in bassorilievo la Vergine con
il bambino, su quello di destra sono visibili le iniziali di San Giovanni in
Piano con l’agnello. Questa facciata, mostra lo stesso stile architettonico di
quella su via Angelo Fraccacreta, anche
se questa ultima, priva di ripartizioni
verticali ,è stata costruita in tufo a differenza delle altre realizzate in
mattoni .Questa facciata ed il corridoio
a piano terra, coperto con voltine a stella[10 ], hanno una singolare affinità con la produzione
dell’architetto Mauro Manieri di Lecce anche se, da ricerche tuttora in corso ,
non sono stati rintracciati ancora documenti in grado di testimoniare la
presenza di questi nella fabbrica dei Celestini di San Severo. La fase della
ricostruzione settecentesca del palazzo è affiancata da una miriade di
cantieri, molti dei quali sono contemporaneamente attivi per realizzare progetti di architetti
locali e forestieri per cui non appare azzardata l’ipotesi di possibili
contaminazioni, o meglio di “apporti” eccellenti. A due facciate caratterizzate
da un barocco di gusto più locale , con balconi sormontati da timpani formati
da cornici curvilinee e volute che appaiono sproporzionate e non ben collegate
con gli stipiti sottostanti, seguono la facciata d’ingresso e quella su via
Angelo Fraccacreta le cui bucature
,ornate da timpani quasi più neoclassici che barocchi,
appaiono molto più proporzionate ed eleganti delle precedenti. E’ stato fatto
anche il nome dell’architetto Astarita, impegnato nella progettazione del
monastero di san Lorenzo [ ].
Al primo piano, i grandi
corridoi a croce greca sono sormontati ,nel punto di intersezione, da
una luminosissima cupola con otto finestre lateral, realizzate nel tamburo
ottagonale ,che è ricoperta all’esterno con “riggiole” policrome. I corridoi
che portavano ai vecchi dormitori sono coperti con volte a botte in mattoni
alte poco più di sei metri. L’aspetto attuale del palazzo , concepito da un
disegno lungimirante ed adeguato ai tempi, rispecchia il principio barocco
della sorpresa, dell’imprevedibile: dopo aver percorso la facciata laterale su
piazza della Repubblica, piatta e monotona nella scansione di finestre e
balconi, si giunge allo slargo di piazza Municipio ( ex Largo Trinità), dove lo
spazio si dilata con l’arretramento della facciata d’ingresso per consentire la
visione della chiesa di san Severino e del suo campanile. Particolarmente
curato è l’angolo tra la facciata d’ingresso e quella su via A. Fraccacreta
dove si intensifica il numero di lesene , quasi ad evidenziare l’importanza del
passaggio da una facciata all’altra. Il programma ambizioso dell’abate Turco
poteva così dirsi completato. Il monastero più grande nel luogo più bello, più centrale
e più alto della città con cortili
luminosi e gallerie che mettevano in comunicazione i percorsi religiosi più
importanti, una sorta di filtro della fede, fatto e concepito per
l’accoglienza, per la frequentazione degli spazi, rendendo solenne anche il suo
semplice attraversamento. A differenza
dell’aspetto odierno si può immaginare la sensazione che doveva provocare la
visita al monastero appena ultimato: varcato il portone d’ingresso, sullo
sfondo, un luminoso giardino con alberi di acacia era di ristoro alla vista, specie nella calura
estiva . Proseguendo oltre la scalinata sulla destra, ci si immetteva in una
lunga galleria , coperta con voltine a stella proseguendo la quale si poteva
vedere sulla destra il chiostro antico con il porticato mentre alla fine della
galleria , sulla sinistra il largo cortile permetteva lo svolgimento delle
attività più pratiche del monastero, con la porta carraia verso via Vaglio
(l’odierna via dei Quaranta) e le cantine sottostanti.
Nuove funzioni inserite
in palazzo Celestini
Dopo il 1813, i locali del palazzo dei Celestini , ceduti
all’Amministrazione Comunale di San Severo, subirono adattamenti continui per
accogliere le sempre crescenti funzioni amministrative del Municipio e, in poco più di un secolo, l’aspetto originario del monastero, almeno
all’interno cambiò per sempre. L’attività degli uffici pubblici , degli archivi
e dei locali di rappresentanza occupò esclusivamente buona parte dei locali del
primo piano, mentre i locali a piano terra in esubero rispetto alle necessità
di spazio dell’epoca ,furono affittati come botteghe di salumieri ed
erbivendoli. Già nel 1842 nei locali al pianterreno nell’angolo tra piazza
della Repubblica e piazza Municipio, fu impiantato il primo telegrafo di San
Severo.
In una delibera del 1882 , sindaco Filippo d’Alfonso, i
locali a piano terra , ai numeri civici 2 e 3 , unitamente al chiostro e parte
della attuale sala consiliare furono affittati ad un circolo privato [ 11] , i
locali ad angolo tra piazza Municipio e piazza della Repubblica già occupati
dal telegrafo, divennero la sede degli uffici postali fino alla fine degli anni
50 ( nel 1957 sia il circolo che le poste furono trasferiti in altra sede) . In
alcune pareti dei locali occupati dal circolo si trovano dei dipinti ad olio su
intonaco eseguiti nel 1904 dall’artista locale Michele Colio. [12].
Nel 1882 al primo piano fu costruita , murando un tratto
di corridoio , a sinistra dello smonto della scalinata d’accesso, la sala della
giunta con soffitti dipinti dal pittore locale Sparavilla , nello stesso anno
fu realizzato il torrino dell’orologio, stuccato poi dal sig. Lanzetta per la
somma di £.364,25. Sempre nel 1882 , nel mese di marzo, su progetto dell’ing.
Domenico Angelitti si realizzò la pavimentazione a lastre calcaree dell’androne
di ingresso da piazza Municipio e del cortile principale a questo annesso.
[13].
Per motivi logistici e funzionali i summenzionati
corridoi furono ulteriormente sezionati per consentire l’uso di parte del complesso
monastico ai militari dell'arma dei
Carabinieri che utilizzavano l’ingresso da via dei Quaranta. A piano terra ,l’antica
galleria che, dal cortile su via dei Quaranta conduceva al chiostro, fu chiusa
murando l’arcata sul giardino. Lo spazio
senza luce che ne risultò fu utilizzato come cella [disegno n. ]. Nel 2010
durante i lavori di restauro del chiostro il muro fu abbattuto ripristinando il
vecchio ingresso verso il giardino.
In un angolo del
vecchio chiostro un puteale in pietra con gli stemmi di Celestino V orna la
bocca di un'antica cisterna ,riempita oggi da vecchi documenti gettati lì a
metà degli anni 70. Nel 1937 Il primo
piano del palazzo viene adibito ad uffici con sportelli aperti al pubblico.
Quasi tutte le porte del primo corridoio a destra della scala d’accesso e
qualcuna del secondo vengono trasformate in arconi con sottostante bancone ,
completate dalla vetrata su struttura in profilato di ferro. Nello stesso anno,
la facciata su piazza della repubblica viene rinforzata mediante la costruzione
di un muro a leggera scarpa di tufi e mattoni a filari alternati , intonacati e
dipinti.
Uno spazio barocco
Un
accurato rilievo dei locali a piano terra di palazzo Celestini ha evidenziato
la presenza di un asse di collegamento , un corridoio coperto con volte , una
sorta di passeggiata delle meraviglie che univa visivamente il sagrato della
chiesa di San Severino con via Soccorso. Questo era possibile perché il piano terra del
palazzo del Seminario ,tra via Soccorso e via dei Quaranta (anticamente vico
Vaglio) ,era attraversato da una galleria passante posta lateralmente
all’androne d’ingresso su via Soccorso.
Prima
dell’ampliamento settecentesco, il vecchio ingresso del convento dei Celestini
si trovava su via dei Quaranta. Nel cortile utilizzato fino a qualche anno fa
dalla stazione locale dei carabinieri si trovavano le cucine ed il refettorio
dei monaci.[14] Dall’ingresso su via dei Quaranta , proseguendo a sinistra ,si
entrava nel giardino . In asse con la galleria d’ingresso è tuttora presente la cisterna con le iniziali
di san Giovanni in Piano. L’intervento settecentesco dell’abate G.M. Turco andò
ben oltre la realizzazione della nuova
facciata d’ingresso, razionalizzando l’espansione del monastero e assicurando
dei collegamenti efficaci e spettacolari
tra le nuove fabbriche e quelle
esistenti .Fu realizzato un corridoio rettilineo,coperto da dieci volte a
stella per una lunghezza di circa m.62.50 ,che dall’ingresso a sud su via dei Quaranta
si estende fino al sagrato della chiesa
di san Severino, con un portale simile a quello più antico, ma decorato da
bugne in pietra con una varietà di toni dal giallo al rosato, con l’uso sporadico
di qualche breccia. Le voltine, a copertura del corridoio, sono del tipo a
crociera a stella con al centro un incasso nella muratura . Questo tipo di
volta si ritrova frequentemente nel barocco leccese, ma è unico dalle nostre
parti. Questo asse che un tempo univa i
due cortili con la vista dell’antico chiostro oggi non è più percorribile nella
sua interezza perché , oltre che ad essere stato frazionato in più proprietà,
quella comunale è stata a sua volta suddivisa in tanti ambienti di servizio
facendo perdere per sempre la percezione
dello spazio unitario e della prospettiva della sequenza delle dieci campate.
Tutta l’architettura del monastero fu plasmata a misura della personalità
dirompente dell’abate Turco. A partire dall’ingresso trionfale, agli spazi di
rappresentanza , ai corridoi che si incrociano al primo piano, tutto fu
concepito per dare il senso di grandiosità , di luce. Persino la parte
inferiore delle soglie dei balconi fu concepita per essere guardata dal basso:
si possono notare in bassorilievo le immagine del sole, luna e stelle. Al piano
terra si incrociavano corridoi che attraversavano cortili e giardini con
effetti sorprendenti di luci ed ombre, con volte talmente alte che potevano
essere agevolmente attraversate anche da carrozze. Il senso di lusso e potenza
era ostentato in una sorta di spettacolarizzazione degli spazi e delle strutture, ben lontani
dal primo ospizio dell’eremita Trifone e del successivo e severo
monastero di San Giovanni in Piano.
Pareti esterne del cortile con il chiostro
Il cortile su cui un tempo si aprivano le arcate del
chiostro è di forma quadrangolare. Su tre lati , anche se parzialmente murati
,sono ancora visibili gli arconi in muratura con i tiranti di ferro. Verso la sala consigliare non sappiamo bene
se per passati interventi murari o per
eventi sismici sono scomparse del tutto le campate del chiostro sostituite
dalla attuale parete con muri di
sostegno. Riportiamo dal manoscritto di
Antonio Lucchino (Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di San Severo
e terre convicine) :”Del monistero de' Celestini caddero tutti i dormitori ,
e quello del Noviziato da' fondamenti, e della chiesa la tribuna, che con la
sua rovina fracassò l'organo che vi era dentro.”Le pareti del primo piano
conservano ancora le tracce di antiche lesene che iniziavano dall'incrocio
degli archi e si sviluppavano in altezza fino al coronamento. Due arcate
risultano inglobate in un muro di sostegno nella parete verso l'ufficio dei
lavori pubblici. Dai pochi documenti che è stato possibile reperire risulta che
alcuni lavori furono eseguiti verso il 1937, come il muro di rinforzo su via
della Repubblica e la apertura degli sportelli al pubblico al primo piano. A
questo stesso periodo possono risalire i
finestroni al primo piano in corrispondenza della sala consiliare. Le
lesene che ripartivano verticalmente le pareti del chiostro limitatamente al
primo piano, furono scalpellate insieme
ai capitelli ionici terminali ( simili per sagoma a quelli presenti sui fianche
del campanile di san Severino), in modo da ottenere pareti lisce e integre, in
sintonia con l’architettura razionalista del ventennio. Le pareti risultavano intonacate a calce , mentre i pilastri del
porticato, in mattoni, presentavano ancora tracce di pittura colore giallo ocra. Il coronamento superiore è
formato da conci di pietra calcarea disposti a filari sovrapposti con vari
ordini di cornici. Due contrafforti in mattoni pieni, a rinforzo della parete
esterna della sala consiliare furono realizzati nei primi anni degli anni 60,
mentre il WC pensile fu costruito agli inizi degli anni 70.
Dalle Cronache di A. Lucchino si riporta:…Il claustro
è ornato di pergolate le cui viti producono l’uva tre volte l’anno, e vi è un
bellissimo piede ( albero) di merangoli. Sta situato nel più bel luogo della
città, in mezzo della piazza a man destra…Strano a dirsi, due alberi di
arance amare (i merangoli appunto) fanno ancora bella mostra di sé verso il
tratto di chiostro annesso alla chiesa. Lungo la parete della sala consiliare
si sviluppano in altezza tre palmette dal fusto esile una quarta è situata
nell’angolo sud est.
Considerazioni a margine di un cantiere di restauro del 2010
I
lavori di restauro del 2010, limitati alla restituzione del chiostro e di due lati del porticato che su
questo si affacciavano, hanno consentito il rinvenimento di elementi murari non
eclatanti considerati nella loro singolarità, ma che si sono rivelati utili in
una visione globale per una
migliore comprensione dell’evoluzione
storica del monastero. Le arcate superstiti del chiostro a piano terra sono
state liberate sia dai tramezzi che dalle vetrate che le nascondevano da circa
un secolo. Il quarto lato del chiostro, crollato dopo il sisma del 1627 , è
stato “ricordato” riproponendone l’orma al suolo, inserendo nella nuova pavimentazione
le “riggiole” in cotto locale di formato quadrato di cm.23,6 per lato (corrispondente
a un palmo napoletano) che , prima dei lavori, formavano la bordura delle aiuole. Seguendo le
prescrizioni imposte al progetto di restauro dalla Soprintendenza ai monumenti
di Bari, sono state conservate le superfici murarie senza cancellare gli
interventi che su di esse si erano
avvicendate nel corso degli anni, compresa la demolizione delle lesene del primo piano ancora visibili
in qualche foto d’epoca, in modo da rendere leggibili le diverse fasi architettoniche.
E’ stato così possibile accertare che il primo piano consisteva in un
deambulatorio coperto con una tettoia poggiante su pilastri in mattoni
costruiti in asse con quelli sottostanti; in una seconda fase sono stati
costruiti, tra i pilastri, degli archi a sesto ribassato , una sorta di secondo
porticato , le cui arcate furono successivamente chiuse in muratura per
ricavare più vani utili. Infatti la realizzazione di alcune finestre sul
cortile è avvenuta tagliando parte degli archi a sesto ribassato.
Per
consentire una migliore fruizione degli spazi tutti i cavi elettrici che
correvano sulle pareti esterne in apposite cabalette di plastica, durante i
lavori di restauro (2010), sono stati
spostati in una rete di cavidotti realizzati all’interno del vespaio della
pavimentazione mentre le unità esterne dei condizionatori della sala consiliare
sono stati concentrati in una nicchia nella muratura . Anche il WC pensile (
costruito negli anni 70 al primo piano – foto
) è stato demolito insieme alle tompagnature di forati costruite
all’interno degli arconi.
Le operazioni di stonacatura delle pareti del chiostro
hanno rivelato l’esistenza di innesti di volte molto più basse di quelle
esistenti , in accordo con quello che doveva essere il monastero nella seconda
metà del 300, secondo le descrizioni degli storici: un ospizio, una chiesetta
ed una torre, detta della “gramigna”.
La torre suddetta, tutta in mattoni, con le tracce delle
vecchie finestre, oggi murate, è ancora
visibile a chi si avventuri sui tetti e sui terrazzini a copertura del primo
piano. Alla base della torre , rivestita in pietra e trasformata in campanile tra
gli anni 1719 -1720 si trova la scala che dal piano terra porta ai locali al
primo piano restituiti dal Comune alla chiesa negli anni 50.
All’interno del portico, sulle pareti ,alcune tracce
impercettibili di intonaco colorato ocra
arancio ricordavano per fattura e per colorazione dei
frammenti di muratura affiorati nelle pareti del sottotetto durante i lavori di
manutenzione straordinaria alle coperture nel 1984. Quei frammenti di intonaco
decorato riportati alla luce insieme a blocchi di pietra con iscrizioni fanno
oggi pensare ad una ricostruzione contemporanea della chiesa e del monastero,
probabilmente dopo il sisma distruttivo del 1627. Alcuni blocchi di pietra
leggermente arcuati, con incisioni a dentelli, si trovano infatti sia sulla
facciata laterale della chiesa che nelle murature del primo piano dalla parte
del sottotetto a riprova di un cantiere di grosse proporzioni con il riutilizzo
del materiale di risulta. Anche il portale della chiesa , in una pietra
particolare detta verde di Roseto, simile alla pietra serena, ha il suo gemello
appunto a Roseto Valfortore.
Le voltine del
chiostro attuale furono ricostruite a sezioni (si notano le ammorsature della
ripresa) riutilizzando i mattoni delle volte più antiche , più basse di quelle
attuali.
Durante la
rimozione del piano di calpestio degli uffici è stato rinvenuto un brano di pavimento( circa nove metri
quadri) di mattonelle di cemento colorato di fine 800.(foto) Le mattonelle sono
state restaurate e ricollocate nella stessa zona in cui si trovavano,
portandole però allo stesso livello del nuovo pavimento di cotto chiaro.
L’abbattimento del diaframma murario che separava il cortile dalla cella della
stazione dei carabinieri ha consentito il ritrovamento, poco sotto il terreno,
di una botola chiusa con mattoni disposti a foglio, sotto i quali , dopo aver
eliminato il terreno che la riempiva, è stato possibile scendere in una piccola
galleria , larga poco più di un metro, coperta con una volta a botte a tutto
sesto orientata nella direzione della cripta scoperta, durante i lavori del 1986, sotto
il presbiterio della chiesa , oggi visibile attraverso una botola nei pressi
del monumento funerario dell’abate Turco. Potrebbe trattarsi dell’antico
passaggio ( oggi murato, in corrispondenza della finestra soprastante
appartenente alla sagrestia) che, dall’angolo del chiostro, passando sotto la
scala d’accesso ai dormitori al primo piano, consentiva di scendere o nella
cripta con gli scranni in pietra e mattoni ( già dotata di scala d’accesso in
muratura ), o addirittura, in qualche altro ipogeo di cui un testimone oculare all’epoca dei lavori succitati,
faceva menzione , meravigliandosi della
presenza di due statue a forma di guerriero poste a guardia di una porta che ,
a suo dire, pareva l’ingresso di una tomba. Purtroppo una colata di cemento
ordinata dal parroco al tempo dei lavori ha trasformato in leggenda la preziosa
testimonianza. Sia per la conformazione
, che per i mattoni usati , questo passaggio è quasi identico a quello della cripta sotto la chiesa della pietà.
Grazie poi alla cortesia dei proprietari è stato
possibile visitare le cantine sottostanti palazzo Celestini ed è singolare che
queste appartengano ad altri . Le cantine costruite ex novo insieme alla nuova
ala del monastero si trovano sotto l’androne di ingresso, i locali ad angolo fino al corridoio galleria con portale
bugnato , oggi proprietà del Banco di Roma, un tempo ingresso alle cantine
D’Alfonso. Le volte a crociera di questo angolo sono poderose, e si impostano
su larghi plinti di fondazione a pianta quadrata. La scalinata d’accesso alla
cantina D’Alfonso fu realizzata probabilmente alla fine dell’800, demolendo una
volta a crociera corrispondente. Infatti nelle delibere comunali di fine 800 si
trovano delle voci relative all’acquisto di foraggio per i cavalli e del suo
stivaggio nelle cantine sottostanti, pertanto , all’epoca delle delibere
suddette, tutte le cantine dovevano essere ancora di proprietà comunale.
NOTE:
[1] Matteo Fraccacreta, sindaco nel 1810, descrive
minuziosamente, nella decima Rapsodia del Teatro Topografico della Capitanata ,
la destinazione degli ambienti al momento dell’esproprio. ..”se non
seguirebbero un sottano col soprano, e la cantina col soprano di D. Prospero
Fania nell’angolo est, sarebbe una grand’isola
questo bel Monastero, non invidierebbe quelli di Lecce e Napoli.” L’angolo di proprietà del sig. Prospero Fania
corrisponde oggi al fabbricato del Banco di Roma.
[2] Nel 1300
l’Episcopio di Lucera rivendica i propri diritti sul monastero di S. Giovanni
in Piano.
Questa disputa è riportata in un documento del 15 ottobre
1300 dato a città di s. Maria
In tale documento il procuratore di s. Spirito a Sulmona
chiede alla sede apostolica di intervenire contro AIMARDO, vescovo di Lucera.
Nel 1330 circa un episodio di violenza perpetrato ai
danni di due monaci del monastero (Fra Gentile e frate Guglielmo furono uccisi
da un certo Nicola, nipote del vescovo di Lucera) , le continue angherie da
parte della nobiltà di Lesina ed alcune invasioni turche convinsero i monaci di
San Giovanni in Piano a trasferirsi a San Severo in alcuni locali di proprietà
nel mezzo della pubblica piazza dove nel 1375 era stata costruita una piccola
chiesa.
Il primo complesso era costituito dalla chiesa, dal
chiostro e dai dormitori al primo piano affacciati su quest’ultimo.
[3] dalle CRONACHE di A. Lucchino :”..il claustro è ornato di pergolate le cui viti producono l’uva tre
volte l’anno, e vi è un bellissimo piede di merangoli (albero di arance amare
n.d.r.). Sta situato nel più bel luogo della città, in mezzo della piazza a man
destra..” Nella descrizione di San Severo fatta dal Lucchino il primo monastero dei Celestini si
trovava quasi al centro del percorso che univa il palazzo del principe ( ad
angolo tra via Mercantile e via Colonna), alla chiesa di san Severino.
Recenti lavori di restauro (2010) hanno evidenziato che
il livello del terreno al centro del chiostro era di poco superiore di quello
dello slargo su via dei Quaranta (ex via Vaglio), mentre il dislivello attuale
rispetto a piazza della Repubblica risultava di circa 90 centimetri. Il primo
ingresso del monastero doveva trovarsi con molta probabilità verso lo spiazzo
su via dei Quaranta .
[4] nella prima metà dell’anno 1000
il conte di Lesina Petrone, riconoscente per l’ospitalità prodigata
dall’eremita Trifone, fece costruire presso l’eremo di questo ultimo una
piccola chiesa , richiedendo che
l’episodio dell’ospitalità e del dono dei due pani fosse riportato visivamente
su tutti i lasciti. Successivamente Petrone fece dono alla nascente comunità
benedettina di molti possedimenti e curò la costruzione del primo monastero
(san Giovanni in Piano) inaugurato da
lui stesso nel 1088. Il convento fu affidato dal conte a frate Ainardo. I beni
donati al monastero da Petrone furono riconfermati dal nipote Goffredo, anche
lui conte di Lesina e, successivamente, nel 1221 da Federico II.
[5] da A. Lucchino –Del terremoto che addì 30 luglio 1627
ruinò la città di San Severo e terre convicine: :”Del
monistero de' Celestini caddero tutti i dormitori , e quello del Noviziato da'
fondamenti, e della chiesa la tribuna, che con la sua rovina fracassò l'organo
che vi era dentro.” Il dormitorio dei novizi corrispondeva quindi, al quarto lato del
chiostro che non fu più ricostruito. Sulla muratura sono ancora visibili le
tracce delle arcate mancanti e le bucature delle porte.
[6] Sull’angolo della facciata su piazza della
Repubblica, oggi coperta a piano terra da un contrafforte in muratura, si
trovava una lapide su cui si leggeva che nel 1742 l’abate G.M. Turco aveva realizzato il nuovo
disegno della facciata d’ingresso. L’attività edilizia dell’abate è
testimoniata da Matteo Fraccacreta a partire dal 1719 con l’edificazione del
nuovo campanile fino al 1742.
[7] dal Fraccacreta op.cit. 10^ rapsodia: “nella 1^ facciata sulla gran Piazza sonvi 7
botteghe di fogliami, e salumi da fittarsi meglio per altre merci non lorde, e
da prolungarsi dietro in quei portici, che circondano quel 1° chiostro.” Le
“botteghe “ oggi sono 6 in quanto le due centrali furono accorpate per
realizzare il salone della ragioneria. “Sono
nella 2^ Nord-Est 4 botteghe con le porte in quello spiazzo; ai fianchi del
gran portone nella 3^ due lustriere ovali, una del sottano del portinaio sotto
la gradinata (oggi locale occupato dall’impianto di riscaldamento -nota
dello scrivente), l’altra del sottano
sotto la Cancelleria Comunale (oggi sala del Sindaco -nota dello
scrivente), colla porta verso san
Severino , come il seguente sotto la sala Decurionale. Segue la gran cantina
con …botti anche di cannate…Nel Vico Formile sonvi tre sottani : quell’antica
cucina e e la porta dell’altra cantina sono verso quella piazzetta. Non si
conosce la data dell’acquisto della gran cantina da parte della famiglia
D’Alfonso , avvenuta senz’altro dopo il 1843 (anno in cui fu data alle stampe
l’opera del Fraccacreta). Di proprietà comunale rimane oggi la cantina di circa
120 mq. ad angolo tra vico Mustacci e via dei Quaranta, con finestre di
areazione nell’ex cortile dei Carabinieri, sotto il quale si trova una cantina
di privati , probabilmente la più antica, con la scala di accesso da via dei
Quaranta. Alla fine della scalinata un grosso vano ,coperto con volta a botte
corrispondente al cortile soprastante, è occupato da vasche vinarie disposte su
due lati con corridoio centrale alla fine del quale, in alto si trova un
lucernario da dove, secondo quanto accennato , venivano un tempo calate le
balle di fieno per i cavalli. Dopo il lucernario il percorso prosegue in un
ambiente terminale areato a sinistra da
un’apertura ad arco con grata che si affaccia sull’antica cantina di D’Alfonso,
oggi di proprietà del Banco di Roma, mentre sulla destra , in direzione di vico
Mustacci si trova un muro di antica fattura formato da blocchi di pietra
irregolare, simile per tessitura alla facciata della chiesa di san Nicola su
via A. Fraccacreta.
[8]Quattro dipinti di Michele Colio, datati nel 1902 sono presenti al piano terra : due si trovano
nel locale con accesso da piazza Municipio che ai primi del ‘900 fu affittato,
insieme a buona parte del piano terra, al circolo Unione , con l’impegno da
parte di questo, di provvedere a tutti gli ammodernamenti e le riparazioni
necessarie. I dipinti, olio su intonaco rappresentano la vendemmia e la
mietitura, e si fronteggiano sulle pareti di un locale adiacente all’ingresso.
Altri due rappresentanti una marina con scogli e pescatori in primo piano e una
veduta con lago furono realizzati sempre da Michele Colio, ad olio su intonaco, su due pareti della sala
consiliare, un tempo sala da ballo del circolo suddetto. Le altre salette del circolo
erano state ricavate alla fine dell’800 chiudendo con vetrate le campate del
chiostro del lato parallelo a piazza della Repubblica. Nel 1948 su progetto
dell’ing. Celozzi, alcuni locali a piano terra tra cui quello con i dipinti a
tema agricolo furono trasformati in farmacia comunale.
Nella scalinata principale, su una piattaforma rialzata, attorno alla quale
si sviluppano le rampe di scale per l’accesso al primo piano è collocata una
statua in gesso patinato dello scultore Luigi Schingo , rappresentante un
atleta impegnato nel lancio della palla.
[13] Matteo
Fraccacreta op.cit. rapsodia 10^: “Quel
portone lapideo di p… per …fra due colonne intarsiate di marmo cipollino, alte…
grosse…dà l’ingresso all’atrio di…per…sino al cancello murato prima del 1811,
che lo divide da quel restante orto con più alberi di acacia.” L’orto più
volte menzionato nella descrizione dei locali al primo piano che vi si
affacciavano, nel progetto dell’abate Turco avrebbe avuto le dimensioni di
m.19.26 x 15.22 di profondità. Infatti, nel locale a sinistra appena si passa
nel cortile, nell’angolo sono presenti delle cornici identiche a quelle dei
restanti angoli all’aperto. Il programma era quindi quello di realizzare un
giardino che facesse da sfondo all’androne di ingresso , secondo l’uso
dell’epoca in cui giardini segreti si svelavano allo sguardo del visitatore non
appena varcava la soglia d’ingresso. Un angolo del fabbricato di proprietà
Fania tra via A. Fraccacreta e vico Mustacchi si estendeva verso l’orto fino al
1818 in cui il pezzo di terreno intercluso fu acquistato dal Fania per rendere
più comoda la sua abitazione, costruendo un piano terra ed un primo piano
arretrato per lasciare un terrazzino orientato a sud ovest. Questi locali sono
oggi di proprietà comunale e sulle pareti interne, sia al piano terra che al
primo piano, sono ancora visibili le vecchie aperture oggi murate di palazzo
Fania.